SOMMARIETTO - work in progress
- un PROLOGO
- le RAGIONI e il PROGETTO
- NOI siamo QUELLI
- le prime REAZIONI...
- materiali 1: qua e là sugli SCAFFALI...
- lo 'SPOT'
- materiali 2: da SINISTRA SENZA SINISTRA
- un 'PRECEDENTE' speciale
- una PENSATA
- materiali 3: LA LOTTA DI CLASSE dopo la lotta di classe
- 'rondò' del XX SECOLO
- qualche COMMENTO 'firmato'
- materiali 4: un FILM
- un SOCIALISMO
- materiali 5: da A SINISTRA !
- ALBUM 'di famiglia'
- materiali 6: qua e là sulla RETE...
- lo 'SCANDALO'
- materiali 7: da NO! il LIBRO del DISSENSO
- una CANZONE
- materiali 8: da COME CAMBIARE IL MONDO.
PERCHE' RISCOPRIRE L'EREDITA' DEL MARXISMO
- un piccolo ESEMPIO
- materiali 9: qua e là sullo SCHERMO...
- un RACCONTO
- materiali 10: da FINCHE' C'E' LOTTA C'E' SPERANZA
- PROMEMORIA
- un 'GADGETTINO'
- il DECALOGO
un PROLOGO
I DEMONI
Vi ricordate di quando pensavamo di non poter fare a meno della seconda casa, della terza automobile, del quarto televisore?
Del desalinizzatore, del Bimbi, dell’innaffiatore automatico computerizzato, del futon, del parquet in tutte le stanze, della controsoffittatura coi faretti (pardon, i punti-luce), dell’air conditioning system, dell’acquario tropicale, dei vetri che si scuriscono da sé, della webcam di controllo nella camera dei bambini, del sistema di amplificatore e casse home-theatre, della Wii, di ogni playstation che usciva, di ogni smartphone che usciva? Del SUV, della 4x4, della minicar, di tre scooter a famiglia? Di Sharm, di Cortina, di Santo Domingo, della cena di rappresentanza a Baschi? Del personal trainer, dello shopping manager, degli animatori al compleanno dei ragazzini, delle farfalle liberate ai
matrimoni, di cani e gatti col pedigree, di lanciarsi col paracadute, del bangee jumping, di pilates, della tessera al solarium per grandi e per piccini? Del silicone, del botox, di tutti i ritocchini, degli sbiancadenti e degli sbiancaculi permanenti? Del piercing prezioso, del tatuaggio massivo, dell’extension, delle lenti colorate, delle unghie finte sopra le unghie vere, del reggiseno con le spalline trasparenti, delle camicie su misura con le cifre? Dei Rolex, dei Patek Philippe, dei Damiani al primo amore? Degli Swatch? Dei centri commerciali, delle outlet-newtown, di Louis Vuitton, di Jimmy Choo, di Bikkemberg intorno ai piedi, di Calvin Klein sul pacco? Degli stilisti maitre-à-penser, dei rotocalchi all-gossip-news? Delle centinaia, migliaia, milioni di oggetti di marca indistinguibili fra loro? Dei marchi su ogni centimetro quadrato libero di noi stessi e di universo?
Delle ore di nulla televisivo che prendevamo per qualcosa che esisteva davvero?
Vi ricordate di quando pensavamo di non poter fare a meno di giocare a qualunque lotteria?
Vi ricordate di quando pensavamo di non poter fare a meno di giocare in borsa, di investire, di avere il numero di un broker al cellulare?
Vi ricordate di quando pensavamo di non poter fare a meno di guadagnare più possibile, di comprare più possibile, di mettere da parte più possibile, di lasciare ai nostri figli più denaro possibile, più cose
possibili?
Vi ricordate di quando pensavamo di non poter fare altro che questo per essere umani?
Era IERI.
E forse è ancora oggi a quest'ora.
Però non sarà più domani - è sicuro, ormai.
Ma non ci sarà ribellione credibile contro alcuna casta - politica o finanziaria - né, tantomeno, alcuna riconversione o rinascita, se non saremo capaci di ribellarci contro il cattivo demone che dentro ciascuno di noi si è sedotto in tutto questo, ha permesso tutto questo, ha voluto tutto questo, ha estenuato la Terra e la Storia in tutto questo.
Siamo seri con noi stessi. Perché è il tempo della SERIETA' - o non c'è più altro tempo.
Perché nessuno compra più niente - e questo, in un'economia di mercato è abbastanza un problema!
Tanto profonda è la crisi economica, che la si può tranquillamente (?) definire una vera e propria crisi d'identità. E queste cose non sfuggono agli implacabili sondaggi.
A luglio (2012) il Pew Research Center ha condotto una ricerca globale sull’impatto della grande recessione nelle opinioni pubbliche di ventuno paesi, tra i quali l'Italia, gli Stati Uniti, la Cina, i principali Stati europei, il Giappone, l’India e il Brasile; e il risultato, quanto a noi, è che la fiducia degli italiani nel capitalismo sta sparendo: in Italia solo il 50% degli intervistati concorda con la proposizione secondo la quale le persone vivono meglio in un’economia basata sul libero mercato. Un vero e proprio CROLLO rispetto al recente passato, che evidenzia quanto la crisi abbia scosso e ribaltato prospettive consolidate: tra il 2002 e il 2007 più del 70% degli italiani credeva nel capitalismo, con valori del tutto comparabili a quelli degli Stati Uniti; ora però, dopo tre anni di 'eurocrisi' (e a cinque dalla prima 'bolla immobiliare' a Wall Street), il capitalismo ha perso parecchio del suo charme. Per completezza, nell'Unione Europea solo la Spagna e la Grecia offrono percentuali ancora minori.
Questa 'ERESIA' - clamorosa, inaudita - contro i 'dogmi' della civiltà borghese, del mercato, della libera impresa e della proprietà privata, si accompagna ad un’esplosione di pessimismo sulla valutazione della società italiana: solo il 6% è contento di come vada l’economia nel nostro paese, poco più di un decimo degli italiani è convinto che stiamo andando nella giusta direzione, e solo il 22% pensa che la situazione potrà migliorare nei prossimi dodici mesi. E NON si tratta di sondaggi sulle intenzioni di voto, sempre fluttuanti in base alla novità, allo scandaletto o alla dichiarazione del giorno - bensì di risposte che riguardano ciò che ognuno pensa della VITA REALE, quotidiana: la propria, della propria famiglia, e le aspettative concretissime sul domani e sul futuro più lontano.
Ed è una frana.
Quindi c'è bisogno di un'idea - di un'idea di riforma profonda, 'di sistema'.
La nostra riforma strutturale ideale? Ma è quella che nessun governo né tecnico né politico, espressione di alcun parlamento votato con qualunque legge elettorale, in nessun sistema di pesi e contrappesi istituzionali né garanzie sul quarto e quinto e sesto potere - ma sempre e comunque all'interno di un'economia di mercato - proporrà mai.
E sarebbe la seguente.
Che tutto ciò che i privati vendono o affittano ad altri privati, o alla collettività tramite la pubblica amministrazione - TUTTO, tranne il lavoro dipendente pubblico o privato, stabile o precario - TUTTO: materie prime, manufatti all'ingrosso e al dettaglio, terreni e costruzioni, l'intera catena alimentare,
servizi, prestazioni, consulenze, intermediazioni, trasporti, cultura, spettacolo, pubblicità... - TUTTO: tutte le merci, tutti i beni, tutti i servizi materiali e immateriali (TRANNE, ripetiamo, il lavoro dipendente pubblico o privato, stabile o precario) - venga offerto a prezzi, tariffe, parcelle o canoni, pari al 50% ESATTO di prezzi, tariffe, parcelle e canoni attuali.
E che questo dimezzamento generale dei costi di ciò che i privati mettono in vendita o in affitto ad altri privati o alla collettività, avvenga in modo SIMULTANEO a partire da un dato momento e fino a data da stabilirsi in seguito.
La faranno, una riforma del genere, i parlamenti e i governi?
NO, perché in un sistema di economia di mercato la politica dei prezzi non gli spetta.
La farebbero, allora, per decisione autonoma - e, secondo noi, per puro istinto di sopravvivenza - gli stessi operatori privati, singoli o associati, che hanno qualcosa (merce, bene, servizio, sapere) da vendere o da affittare?
NEANCHE: nessuno di loro si fida che lo facciano anche tutti gli altri, e questa diffidenza atavica avrebbe la meglio perfino sull'autoconservazione più basica.
Eppure l'economia di mercato, ossia il capitalismo, si salverebbe forse SOLO così.
(E di certo dovrebbe stare a cuore a LORO - a chi ritiene ciò l'unico sistema compatibile con la natura umana - non certo a noi!)
Allora, in subordine, la nostra riforma strutturale ideale è la RICONVERSIONE.
Che proveremo a raccontarvi QUI - con tutto quello di cui siamo a conoscenza, e capaci di narrare, esemplificare, evocare.
(E un partito o movimento politico che ne facesse il proprio punto di programma, avrebbe non solo il nostro voto, ma un'adesione partecipe e disciplinata come oggi neanche usa più!)
...In sub-subordine, invece, ci sarà il puro e semplice CAOS da 'estinzione di un sistema secolare di convivenza tra gli umani', col programmino tipico del caso: populismi, autoritarismi, fascismi, guerre, rivoluzioni.
E a quel punto - poiché non avrete tentato la nostra prima riforma ideale, e neppure la seconda: la riconversione, assai più fattibile - allora ci toccherà difendere il culo nostro, dell'Umanità e del pianeta, con la RIVOLUZIONE comunista pura e semplice.
Manco è detto che funzionerà: sarà un bagno di sangue e di spirito, comunque - ma vi saremo stati costretti da una serie di sciocchezze altrui senza RIMEDIO.
E a quel punto, vinca il più FORTE!
Ma per ora, diamoci ancora una chance di civiltà condivisa.
Buona lettura...
Paolo ANDREOZZI e Valentina MANUSIA
le RAGIONI e il PROGETTO
E' qualche giorno che ne parliamo e ci ragioniamo su, e non sembra già più tanto un'utopia.
E comunque è questo il frutto che desideriamo far maturare, che riteniamo possibile e giusto in questo momento storico.
Molta gente ha già iniziato a mettere in discussione la propria visione del mondo. Il passo seguente non è facile, ma non ci sono molte alternative augurabili.
Certo, le classi dirigenti di tutta Europa ragionano sul modo migliore per sanare la situazione attuale. Ma beninteso, all'interno delle regole attuali: cosa che consentirebbe loro di sopravvivere ancora un po’, ai privilegiati attuali di mantenere il loro status e a molti di continuare a ragionare come hanno sempre fatto.
In altre parole: non verrà da questi soggetti – le élite e i privilegiati – la spinta per il cambiamento, ossia per l’unico futuro non caotico né violento né autoritario. Ma dai cittadini liberi – nel cuore e nella mente – di tutto il mondo: da noi, da chi pensa che il mondo così come era è finito, da chi è disposto a cedere una parte del proprio benessere – comunque sul ciglio del burrone – per sperimentare un nuovo modo di vivere.
Negli ultimi trenta mesi – più visibilmente – i cittadini italiani ‘innamorati’ di democrazia e giustizia, e cioè indignati ante litteram contro l’indecenza e il malaffare a Palazzo, hanno fatto tanta strada insieme. Che fossero militanti di partito o no, che fossero già prima sensibilizzati alla partecipazione oppure no: tante voci si sono unite, tanti passi insieme si sono percorsi.
Anche restando solo agli extra-partito, la nostra proposta di un Movimento per la Riconversione ci sembra perfettamente nel solco del cammino calcato da tanti con noi.
Due anni e mezzo fa si disse 'proviamo a salvare la democrazia costituzionale in Italia', e nacque il Popolo Viola che aveva come focus appunto una difesa e una salvaguardia. Poi un anno e mezzo fa si disse 'proviamo a dare le regole perché il civismo di base abbia una voce su vari temi propositivi, non solo in difesa', ed è nato l'esperimento di Violaverso e della Rete dei Gruppi Locali che aveva come focus la costruzione dei presupposti perché il civismo avesse una sua parte in commedia. Poi un anno fa si è detto 'ecco cosa si può dichiarare nel merito da parte dei cittadini: che vogliamo votare al più presto', ed è nato il collettivo Votiamoli Via che a quella parte spettante al civismo dava la parola d'ordine 'elezioni !' e provava a diffonderla tra gli altri movimenti, dalle donne di Se non ora quando ? agli studenti, ai precari, agli artisti e ai tecnici del Teatro Valle occupato, ai lavoratori di CGIL e FIOM soprattutto. Poi sei mesi fa si è detto 'proviamo a chiedere che al prossimo voto la politica professionale si lasci presidiare concretamente da una presenza e da una progettualità da parte dei cittadini', ed è nato Progetto Quota Civile che anche con le belle conferme dalle vittorie referendarie pretende – giustamente, tuttora – che qualsiasi decisione dei rappresentanti politici sia controllata da vicino (e anzi suggerita) dai rappresentati secondo Costituzione.
Ed ora – col ‘solito’ timing, ma rafforzato da un cambiamento radicale dello scenario politico ed economico che non può lasciare indifferenti – dichiariamo 'd’accordo, ma una buona volta vogliamo dire cosa desideriamo, e non soltanto con quali metodiche e garanzie e soggetti ?'
E cosa desideriamo è la riconversione.
La riconversione – i suoi lineamenti ideali, i precetti irrinunciabili e un inizio di programma per la sua realizzazione – è sintetizzata nel ‘decalogo’ riportato più avanti ed è 'reclamizzata' nell’audiovideo che abbiamo preparato e pubblicato sempre qui sotto. Ma soprattutto è ‘giustificata’, ci sembra, dalle tante testimonianze che abbiamo finora raccolto tra chi (analisti della società, storici, politologi, economisti, intellettuali, religiosi, dirigenti dei ‘corpi intermedi’, ‘attori sociali’ autorevoli), prima ancora che la riconversione ‘secondo noi’ vedesse la luce, pure hanno già denunciato il limite estremo della posizione raggiunta dal sistema capitalista occidentale, i suoi rischi, delineato le possibilità di salvezza eventuale proprio in una direzione simile a quella di cui ci siamo ‘innamorati’ (ancora una volta), e hanno accoratamente invocato la necessaria assunzione di responsabilità da parte di chi è e vuol essere, ma sul serio, ‘di sinistra’. E anche quelle testimonianze sono a disposizione di chi legge, poco oltre, tra i ‘materiali’ di questo nascente Movimento per la Riconversione.
Dovrà farsi partito ? Col suo bel simbolo – magari un girasole, non ci dispiacerebbe, anzi tanti: color arancio carico, in campo giallo-terra – e statuto e organismi e bilancio ?
Le azioni le studieremo, insieme a chi farà proprie le tesi della riconversione e si dichiarerà disponibile alla crescita reale del movimento: non ci sono pregiudizi metodologici, solo la voglia di fare davvero.
Certo, gli Stati-nazione sono probabilmente al termine di una lunghissima parabola storica, e la riconversione potrebbe diventare un modello per un'intera platea continentale – ma sappiamo che questi sono processi che richiedono i tempi secolari della storia della Civiltà.
Allora occorre sperimentare, ed essere presto credibili e attrattivi. E quindi, prima ancora, elaborare e proporre idee fattibili: l’ambito dell’amministrazione locale è il più indicato, perciò, e altrettanto la sinergia con chi ha già un’adesione morale e un’esperienza pratica del mondo dell’equo-sostenibilità e dei beni comuni. Bisogna fare i conti con le reali forze in campo – i partiti, il sindacato, le associazioni, i movimenti, l’informazione, gli opinion-maker – e solidi di un’analisi coraggiosa (la fine dei margini di guadagno per coloro che finora hanno fatto resistenza al cambiamento, che pertanto cederanno alla ‘intelligenza delle cose’ – è così, non stiamo scrivendo ‘il libro dei sogni’) bisogna scegliere rapidamente un teatro di azione che abbia probabilità di successo e di risonanza: Roma, per esempio, il cui consiglio comunale scade a primavera 2013 (al più tardi).
Mobilità, socialità, sicurezza, accoglienza, cultura, ambiente, durata/recupero, occupazione prima di tutto – il Movimento per la Riconversione deve distinguersi nella progettazione di un obiettivo specifico in uno di questi ambiti, e con essa ‘bucare’ lo schermo di disattenzione della grande massa dei cittadini. Perché non è che con la crisi che morde, e che più morderà, l’italiano (o il romano) sia diventato automaticamente più sottile e lungimirante di prima, nella valutazione degli interessi di se stesso in quanto membro di una collettività.
C’è il rischio opposto, in effetti. E senza scomodare i paragoni classici con i totalitarismi della prima metà del XX secolo, figli della Grande Depressione, basta dare un'occhiata a quello che succede oggi nei Paesi in maggiore difficoltà.
Ma la nostra lettura di questi tempi è - riteniamo - ben svolta, e le ragioni dell’ottimismo sono maggiori del loro contrario, secondo noi. La contraddizione strutturale del sistema economico e politico – fondato esclusivamente sul profitto personale 'a breve' e sulle sue gigantesche amplificazioni di ‘clan’, di casta e di ‘blocco’ – è esplosa davanti agli occhi della maggior parte dell’Umanità, resi sempre più aperti dalle reti di controinformazione e di intercomunicazione, e dalla loro velocità d’innesco.
La crisi non è di oggi, ma ora è implacabilmente smascherata. In sostanza tutto il neoliberismo, il turbocapitalismo e l'asservimento mediatico alle sirene dell'idiozia, dal punto di vista del controllo del consenso non sono altro che questo tentativo trentennale di travestimento di un paradosso radicale: che il sistema – il capitalismo – non è stabile se è in quiete, non è vitale se non conquista. Ma ormai che il mondo è tutto conquistato e ora che nessuno al mondo vuol più fare una guerra per motivi futili – e proprio perché il sistema stesso ha instillato in tutti la 'pretesa' della sicurezza individuale e l’aspettativa della ‘felicità’ per sé e i propri cari – ebbene, chi detiene il ‘vero’ potere un po’ alla volta mollerà la presa, finalmente. Per il semplice motivo che il suo potere non vale più il costo della poltrona da cui lo esercita, e sicuramente molto meno che il rischio di tenercisi aggrappato per sempre.
Ci lasciano un mondo agevole ? Tutt’altro, purtroppo. Ci prenderemo un mondo che può precipitare in un terribile medioevo, o che invece può aprire un altro capitolo della storia della liberazione umana: non è scritto nulla, finché l’uomo non agisce e si fa artefice della propria vita.
Noi crediamo che al bivio qualcosa possa far scegliere la strada giusta, il frutto buono da mangiare. Crediamo che questo qualcosa sia la pratica della riconversione, e speriamo che anche voi cominciate a crederlo, tra poco.
E a renderlo reale.
Leggete tutto, guardate tutto quello che abbiamo messo qui per spiegarci.
E alla fine diteci che ci state !
Vale e Paolo, capodanno 2012
NOI siamo QUELLI
Che poi noi mica ce l'abbiamo col 'sistema' (o capitale o mercato globale o potere dell'1% o chiamatelo come vi pare) perché ci sta antipatico, o perché ci tiene fuori dalle 'stanze dei bottoni', o perché
vorremmo che non fosse mai apparso nella storia dell'Umanità.
Al contrario, noi siamo quelli che pensano che se il sistema capitalista - se il culto della proprietà e del profitto - non fosse spuntato fuori e non si fosse insediato un po' dappertutto nei secoli scorsi, un bel tratto di sviluppo materiale della civiltà (aumento della durata media della vita, emancipazione dalla fatica, dalla
miseria, dalla malattia, dall'ignoranza, facilità negli spostamenti su tutto il pianeta, quantità di scambi culturali tra masse sempre più numerose di donne e di uomini, aumento delle sensibilità non materiali - antropologiche, animaliste, ambientaliste) be', quello sviluppo non l'avremmo neanche mai conosciuto.
D'accordo, anche questa 'bella pagella' del sistema non fu senza costi: basti dire l'orrore del colonialismo, dello schiavismo, dell'estirpazione di intere civiltà secolari.
Ma se la maggior parte dei cittadini del mondo oggi può inorridirsi dinanzi a quelle pagine nere, noi crediamo che sia proprio per l'elevazione culturale e spirituale media dovuta a quell'affrancamento medio dalla miseria, dalla fatica e dall'ignoranza che - di nuovo - è uno dei 'voti più alti' da dare al mondo moderno nonostante tutto.
(Infatti non ci è noto di alcun homo sapiens che, decine di migliaia di anni fa, abbia fatto uno sciopero della fame per protestare contro il genocidio dei neanderthaliensis o lo sterminio dei mammuth.)
Allora: perché 'adesso' ce l'abbiamo col capitale?
Perché negli ultimi decenni è successa - sta succedendo - una cosa senza precedenti nella storia millenaria. è successo che gli atti posti in essere dal sistema - ripeto, dal culto della proprietà e del profitto tradotto
in organizzazione socioeconomica e in sovrastruttura politicoculturale - non sono più la risultante degli atti intenzionali o fortuiti di tutte le sue componenti, cioè di noi umani, e nemmeno di quella ristretta porzione (l'1%) che in effetti occupa i posti 'che contano'.
E' successo che la quantità di interconnessioni reali tra produttori, beni, consumatori, merci e denari ha
raggiunto e superato quel 'numero critico' oltre il quale il groviglio stesso delle connessioni assume una sua propria soggettività autonoma.
(Un po' come si definisce lo 'scoccare dell'autocoscienza di un organismo' l'effetto del superamento di un 'numero limite' di cellule nervose e di sinapsi tra loro, dopo il quale l'animale pensa 'io' per la prima volta - e non è più una colonia incosciente di cellule; o un po' come si può calcolare la massa critica di atomi
instabili ridotti in un piccolo spazio, superata la quale s'innesca la reazione atomica o nucleare a catena e qualcosa esplode di brutto!)
Sta succedendo proprio questo, che il sistema 'pensa'.
Che c'è di male? Be', nulla - se non fosse che il sistema capitalista globale, lui in quanto soggetto, di certo non gode di alcuna di quelle sensibilità antropologiche, spirituali, olistiche che invece tanti di noi umani hanno il gioioso compito di coltivare ogni giorno e di tradurre in comportamenti nei confronti di tutti gli altri, e
dei viventi, e del pianeta, e del futuro. Giacché infatti il sistema è appena nato, veramente da pochi centesimi di secondo rispetto ai tempi della vita sulla Terra - e anche se è l'entità più potente che sia mai esistita, l'unico 'senziente' il cui potere possa paragonarsi a quello dello stesso ecosistema planetario, esso è perfettamente idiota dal punto di vista etico e da quello strategico.
Il sistema - questo immenso neonato - sa solo pensare 'io voglio', mai 'io devo', e soltanto 'io voglio ora'.
Di nuovo: che c'è di male? Forse che un singolo umano, dal momento in cui ha coscienza di sé e dei
propri desideri, si pone il problema del destino individuale di ciascuna delle sue singole cellule nel perseguire e i desideri e in generale la propria sussistenza? E non avrà allora lo stesso diritto il sistema, ormai che per la
sua incalcolabile interconnettività interna è scoccata la sua soggettività d'insieme che prescinde perfino da noi componenti umane?
C'è di male che noi umani non siamo propriamente delle mere cellule.
Noi pensiamo, noi soffriamo, noi prevediamo, noi vogliamo. Le singole cellule, per quel che se ne sa, no.
E non solo: sempre in virtù di quelle conquiste secolari del mondo moderno, noi umani (magari non tutti, ma ne conosco tanti) pensiamo e soffriamo e prevediamo e vogliamo non soltanto in ordine al nostro individuale
destino separato da quello di ogni altro, ma anche a quello dell'Umanità nel complesso, e dei viventi in generale, e della Terra stessa.
Ecco che c'è di male! Che il sistema - amorale, e 'cieco al futuro' - è ora oggettivamente nemico dei singoli umani, e dell'Umanità, e dei viventi, e della Terra.
Dobbiamo produrne qui le prove? O vi basta sfogliare a memoria gli album di foto delle guerre regionali e internazionali, quelle dei disastri ecologici, quelle delle crisi sociali ed economiche sempre più frequenti e profonde, quelle delle migrazioni 'bibliche', quelle delle emarginazioni 'neo-megalopolitane', quelle dei volti - a centinaia di milioni - di donne e di uomini costretti a scegliere tra la depressione da stress della vita 'concorrenziale' e quella da espulsione dalla vita attiva 'codificata'? Crediamo vi basti.
Allora, ricapitolando.
Il modo neocapitalista globale di produzione e scambio di beni e significati (tecnicismo, ma il 'sistema' o il 'potere' van bene lo stesso) costituisce un salto di qualità inaudito nella serie di modelli socioeconomici 'vincenti' da molti secoli a questa parte.
Quelli del passato, i nostri avi migliori li hanno avversati per motivi di classe o per motivi umanitari - ma per onestà dobbiamo ammettere che il fatto che fossero appunto vincenti su quelli davvero arcaici (e grazie anche all'opera di 'temperamento' in senso democratico e socialista riuscita alle classi lavoratrici organizzate nei
confronti di questi modelli), be' ha fatto sì che noi oggi siamo qui a scrivere anziché probabilmente in catena di montaggio.
Ma questo sistema presente è, per la prima volta, 'autodeterminantesi' - e visibilmente, lo è a dispetto (o
nella migliore delle ipotesi: in totale indifferenza) dei bisogni primari della stragrande maggioranza degli umani, dei viventi, del pianeta stesso.
Pertanto è il nemico nostro, in quanto noi persone e non meri ingranaggi.
Non ci è antipatico. Non più di quanto ci sia antipatico un virus, o un automa.
Ma dobbiamo combatterlo.
E se il sistema - ripeto, e concludo - non è altro che la traduzione in organizzazione socioeconomica e in sovrastruttura politicoculturale del culto della proprietà privata e del profitto individuale, ebbene noi siamo appunto quelli che per vincere il nemico mineranno quel culto (costasse anche qualcosa - o parecchio -
in termini di confortevole e radicatissima abitudine di pensiero e di esistenza, a noi come singoli cittadini). Siamo quelli che studiano forme diverse di civiltà umana - alcune già tratteggiate in teoria e perfino tentate in pratica - e che chiederanno a molti altri di sperimentarle.
Cosa ne sarà, posta pure la sconfitta del mostro? E chi può dirlo?
Sarà vita solidale e sostenibile, in termini generici, ma poi lo vedranno le donne e gli uomini di quel presente.
Però ora bisogna disinnescare la bomba. La presente trincea è questa.
Qualsiasi altra analisi è ancora tutta ben dentro al sistema.
Paolo - novembre 2012
le prime REAZIONI...
L'attuale situazione, non solo economica, ma ambientale ci chiede uno, anzi più passi indietro a fronte di un risanamento generale di questo malandato paese...
Comprendo le obiezioni di qualcuno, ma se ragioniamo di "se" e di "ma" allora il cambiamento che tanto desideriamo non ci sarà mai, dobbiamo iniziare ad osare a proporre e a promuovere e questo mi pare un inizio. E' proprio come fare un figlio: se si inizia a ragionare su quale può essere il momento giusto allora non lo si farà mai, bisogna lasciare spazio al desiderio.
Noi qui siamo tutti motivati da un desiderio comune, e allora rendiamolo concreto!!!
E.M.
Direi che per noi occidentali si tratta di re-imparare a vivere insieme, in un mondo che gli sviluppi tecnologici hanno fatto diventare globale.
Nel mondo occidentale la disponibilità illusoriamente illimitata di risorse primarie e voluttuarie e la percezione di questa illimitatezza, creata tramite i mass media proprio da chi questi beni commercia, ci ha fatto dimenticare cosa significhi la vita comunitaria: è qui che abbiamo bisogno di tornare a vivere insieme. Dobbiamo tornare ad occuparci del vicino di casa, non di cosa succeda nella casa del grande fratello; dobbiamo tornare alla dimensione della “piazza”, del rione, la dimensione del confronto tra persone e non tra telecomandi.
Affermare oggi che dobbiamo e vogliamo rinunciare a qualcosa di “consumabile” per offrire una prospettiva migliore alle generazioni future è CRESCITA: della moralità, della coscienza collettiva, della condivisione, del riconoscimento della cultura come valore inalienabile.
G.J.C.
Di primo acchito, l'impostazione mi trova d'accordo (del resto si basa evidentemente su letture e elaborazioni che sono in qualche modo patrimonio comune): secondo me una chiave per un'azione condivisa è proprio questa – ripensare prima di tutto la questione del lavoro e della gestione delle risorse, perché il domani sarà economia partecipata o non sarà.
N.d.I.
Se si arrivasse ad affermare questo progetto, ci troveremmo in un altro tipo di società.
Sicuramente a misura d'uomo.
E.M.
Effettivamente le cose così non vanno, il capitalismo è in crisi e sicuramente si deve trovare un'alternativa. Spogliamoci del nostro individualismo e organizziamoci collettivamente, tramutiamo il nostro egoismo in solidarietà, rendiamo ciò che sembra utopia in fatti concreti.
Sono dei vostri.
M.R.
Generalmente sono diffidente, per natura, verso tutto ciò che si presenta come un'idea collettiva, perché sono individualista, indipendente ed attaccata, affezionata proprio direi, al senso critico; ma ho letto il DECALOGO, e, per quanto i principi di base siano decisamente SOCIALISTI nel senso storico del termine, e dunque contrari alla mia idea individualista di base della vita e della coscienza civile, NON POSSO CHE CONDIVIDERE IN PIENO IL TRASPORTO IDEALISTICO E FILOSOFICO CHE LO INNERVA: sono con Voi, ragazzi !
C.Z.
Concordo pienamente col vostro decalogo.
Apprezzo tantissimo nella premessa l'invito a partecipare alla riconversione partendo dalle amministrazioni locali, e soprattutto condivido in pieno in sintesi la prima parte del messaggio, legato a mobilità, socialità, sicurezza, accoglienza, cultura, ambiente, durata/recupero, occupazione.
N.V.
Più che social democrazia (con il trattino), parlerei di socialismo. Ma che cosa ha questa parola di così demoniaco da non poter più essere neanche pronunciata ?
Mi gira e rigira nella testa, la sogno, la scompongo la leggo e scrivo al contrario.
E’ la mia ossessione, la riprodurrò con il pongo a lettere cubitali nel salotto di casa per darle una valenza tridimensionale.
Le pari opportunità e l'autodeterminazione, la decrescita e la RICONVERSIONE: ecco il suo significato oggi.
F.d.S.
Mi ritrovo nelle vostre ragioni e nelle intenzioni future, mi ritrovo nell'ideologia e nelle azioni pratiche che intendete fare. E' stato fondamentale specificare tutto il percorso affrontato e gli obbiettivi raggiunti attraverso i vari movimenti e collettivi. Ci vuole coraggio e ci vuole la testa, soprattutto la pazienza del ragionamento con chi ha fatto della mediocrità uno stile di vita. A volte manca la cultura, non solo scolastica ma quella pratica e forse certi discorsi non sono fruibili da tutti, perciò dovreste riuscire a parlare anche a chi non ha frequentato il classico ne ha mai letto per piacere di leggere. Per il resto mi sembra che ci siamo su tutto. Se mi viene altro, ve lo faccio sapere e intanto vi promuovo un po’. In bocca al lupo e grazie come sempre, per la speranza che mi date.
V.F.
E' da 20 anni che non ho sotto mano così tanto materiale "politico"! Penso sia un buon progetto, non so quanto valga il mio giudizio ! Posso umilmente dire che il girasole non trova la mia approvazione ?
Fuori allenamento politico da molti anni, militanza intendo, ho sempre interessi e curiosità per quello che accade di BUONO in questo Paese in declino sul declivio di Monti, picchi e colline ! Buon lavoro. Siete belli ! Siete tanti ?
P.d’A.
Ho dato una lettura (rapida ma abbastanza attenta) del materiale. Tutto interessante, quanto condivisibile. Per conto mio posso comprendere la necessità di sintesi che induce a trascrivere un decalogo quale quello che identifica il Movimento per la Riconversione, ma come è altrettanto comprensibile che sia, ci sarebbero diverse precisazioni e chiarimenti da porre su tale decalogo. Se ne può comunque accettare a prescindere il suoi valori e significati di voler rappresentare prospettive e simboleggiare identificandolo il Movimento stesso.
Il segnale deve essere unico per tutti: CAMBIAMENTO se vogliamo sopravvivere. Un cambiamento che ESIGE coraggio. In Occidente deve passare una sola grande idea: IL VERO BENESSERE si basa sulla GIUSTIZIA sociale e mondiale, non sull’effimero possesso di beniiale, non sull'effimero possesso di beni. Ognuno riconosca che è in gioco il futuro e la sopravvivenza dei nostri figli e nipoti, e si sia disposti alla rinuncia di un uovo oggi affinchè sia possibile un nuovo è più razionale pollaio domani.
G.M.
I contenuti ci sono, trovare la forma forse non è difficile, con tanta buona volontà. Il problema è smuovere le coscienze dal torpore, dalla paura e dalla diffidenza generata dalla troppe delusioni. E' una questione di numeri, da cui, come sempre, non si può prescindere, e il proliferare delle sigle purtroppo non aiuta, o forse sì, non lo so.
C.C.
Che il movimento si muova, sono con voi.
P.P.
Sono interessata sia ai contenuti che alla modalità di comunicazione.
La democrazia è il regime della possibilità, non della rassicurazione. E' la “società civile”, sono i cittadini, la sede della democrazia, il luogo della sua forza o della sua debolezza.
Riflessione da Karl Popper (1902-1994):
“Vi sono soltanto due tipi fondamentali di istituzioni; quelle che consentono un mutamento senza spargimento di sangue, e quelle che non lo consentono. Personalmente preferisco chiamare Democrazia il tipo di reggimento politico che può essere sostituito senza l’uso della violenza, e tirannide l’altro.”
G.T.
Le cose che avete scritto sono interessanti quanto veritiere. Stiamo vivendo una strana e difficile epoca che incute timore al solo pensiero del futuro. Noi, figli del dopoguerra, che ci siamo abituati al vestito di moda, al cellulare in tasca, all’automobile ipertecnologica, alla casa il cui colore dei muri si deve ad ogni costo intonare alla tovaglia in fiandra del tavolo del salotto… stiamo per fare un’orribile fine e non solo dal punto di vista economico. Certo non manca molto perché ci si possa interessare unicamente allo scaffale del frigorifero e al suo ridotto contenuto, ma stiamo perdendo noi stessi in ogni senso; non sappiamo più distinguere i valori, quelli genuini dei nostri nonni, dai piagnistei e dal buonismo da quattro soldi dei reality show. Non riusciamo a mantenere un rapporto di coppia al nascere della prima ruga e passiamo il tempo a contare i buchi della cellulite nostri e degli altri. Ci stiamo affossando da soli; perché da soli permettiamo a noi stessi di comportarci da sciocchi, nel migliore dei casi, e da incivili nel peggiore… e, sempre da soli, ci facciamo tranquillamente calpestare i diritti dal primo furbone di turno. Credo che abbiate ragione: è arrivato il momento di smettere di vegetare e provare a fare qualcosa per il nostro popolo. Almeno provare…
A.V.C.d’A.
Gran bella iniziativa ! Devo dire che ultimamente sono un po' deluso dai movimenti in generale, perché vedo che spesso prevale il pensiero personale su quello collettivo. Uno dei più grossi ostacoli almeno nel nostro caso, è stato quello di non presentare alcune cose come già stabilite, ad esempio se essere un partito, associazione… Credo che nel momento in cui si dovesse porre questo quesito sarebbe inevitabile che molti si allontanino perché la pensano in altra maniera.
A Roma abbiamo un bel gruppetto di resistenti, non so se siete in contatto con loro, ora provo a proporre la cosa.
F.L.
C'è proprio bisogno di vedere una luce in fondo al tunnel !
P.T.
Cari amici, io sono d'accordo, un analisi attuale e preciso, con un pensamiento e proceso socio-storico ampio e fundamentalmente umano.
Eccellente bibliografìa.
M.A.
Parto dal racconto (e dal decalogo ovviamente, che sottoscrivo in ogni suo punto) per sottolineare una mia precisa visione “della cosa”. E cioè, che senza il coinvolgimento pieno dei giovani – alcuni, forse già troppi ahimé, avviati alla rassegnazione culturale, all'a trofismo intellettuale – e giovanissimi, il rischio è rimanere un'enclave, nobilissima e necessaria comunque. Partire da chi più di noi ha la possibilità, semplicemente anagrafica, di avvalersi di una coscienza, di una memoria, di un'esperienza meno inquinata, è un fattore determinante per un più rapido propagarsi "dell'epidemia" che proponete, del virus che probabilmente oggi rappresenta l'unica arma a disposizione di un popolo – estendo, ad un'umanità – che voglia tornare di nuovo consapevole ed artefice del proprio destino. Su questo aggiungo un'altra mia convinzione, concetto anch'esso presente e fondante nel buddhismo di Nichiren Daishonin, dal nome affascinante tra l'altro, che è "la rivoluzione umana" e cioè il passaggio da uomo a uomo, da cuore a cuore, della propria esperienza e della propria realizzazione quotidiana. L'esempio concreto, il fatto reale, che torna ad essere l'unico riscontro e il supremo metro di giudizio, per un'umanità che inevitabilmente deve o dovrà sempre giudicare se stessa.
A.I.
Mi sembra un buon inizio per fare "rete" unendo tante risorse preziose che ognuno di noi possiede. Che dite? Troppo ottimista?:))
Per me è un periodo un po’ caldo, nonostante la neve ! ...ma non voglio perdermi questo pezzetto di NOI, nuovo e pieno di speranza per un mondo migliore che abbiamo diritto di reclamare.
I grandi obiettivi non sono cose da fare domani. Sono l'immagine di una speranza che si deve aprire per il futuro, qualcosa per cui lottare, per cui vivere.
Come scriveva Rainer Maria Rilke nel Poeta:
"Bisogna che voi lasciate maturare dentro di voi ogni impressione,
ogni germe di sentimento, nell'oscuro, nell'inesprimibile, nell'incosciente....
L'estate viene. Ma soltanto per quelli che sanno attendere,
tanto tranquilli e aperti come se avessero l'eternità davanti a loro".
E noi abbiamo i girasoli dalla nostra, più estate di così?!?:)
verrà, verrà...
M.G.
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qua e là sugli SCAFFALI...
Qualunque tipo di "conversione" dovrà necessariamente far parte di una ristrutturazione completa della società. [...] Se il presidente della General Motors decidesse all'improvviso di avviare la produzione di automobili della migliore qualità ai prezzi più bassi, non rimarrebbe presidente per molto, perché ci sarebbe uno spostamento nel mercato azionario e lo caccerebbero via in cinque minuti. Questo vale per l'intero sistema nel suo insieme. Non esiste assolutamente alcuna ragione al mondo per cui chi detiene il potere sull'economia debba volerla strutturare in modo tale da compromettere o indebolire il proprio controllo.
da 'Capire il potere', Noam Chomsky (2008)
Anche se le economie socialiste, comprese quelle guidate da partiti comunisti in varie parti del mondo, sono state gravate da problemi economici e politici (ivi compresa l'oppressione), i fini e gli obiettivi che hanno in passato attratto la gente verso il socialismo restano a tutt'oggi importanti come lo erano cinquant'anni fa. I concetti di giustizia sociale sono costantemente riemersi anche dopo che erano stati indeboliti dalle difficoltà incontrate nei diversi progetti di attuazione.
da 'La libertà individuale come impegno sociale', Amartya Sen (2003)
Il mercato favorisce la segregazione, piuttosto che l'integrazione, nella comunità mondiale. [...] Non ci sarebbe da sorprendersi se in futuro gli storici guardassero al movimento del commercio equo e solidale come a un laboratorio per la riformulazione dell'economia mondiale. In una nicchia si stanno sperimentando principi che un giorno potrebbero diventare pietre miliari di un ordinamento sostenibile del commercio globale.
da 'Per un futuro equo', Wolfgang Sachs e Tilman Santarius (2007)
La sete di ricchezza è probabilmente la più diffusa malattia mortale dell'anima umana. Essa falsa sia le professioni che le relazioni interpersonali; reifica il mondo sottraendogli la sua bellezza intrinseca e gratuita; è all'origine della maggior parte dei generi di crimine. Quanto ai limiti: le ricchezze, il potere e la notorietà sono beni esterni, non sono beni propri né dell’anima, né del corpo. Dicono quindi molto poco sul valore di chi li detiene, e anche sulla sua felicità. [...] La ricchezza, in particolare, sembra avere per l'anima un'importanza proporzionale alla sua debolezza e insoddisfazione profonda. Il forte, il grazioso, il coraggioso, il giovane vanno leggeri. Le situazioni di pienezza, le peak experiences rendono spontaneamente poveri; l'amore nel suo primo rapimento si contenta di quasi niente, basta a se stesso; la sapienza, la contemplazione, l'ispirazione creatrice, non 'possiedono', [bensì] 'aprono a'. Si può dire con sicurezza fenomenologica che un uomo appassionato di ricchezza è un povero uomo.
[...]
Ci vorrebbe la moderazione. Ma l'uomo non vive volentieri di moderazione. L'uomo è fatto per l'illimitato. Diventa dunque essenziale scoprire beni profondamente soddisfacenti e al tempo stesso non esclusivi, cioè disponibili per tutti in quantità illimitata. Questi beni esistono. Sono i beni del corpo, della mente e della relazione affettiva, cioè delle tre dimensioni costitutive dell'umano. Quando qualcuno mi chiede cosa desidero rispondo: "un corpo sano, infaticabile e dotato di tutte le abilità; una mente infinita, colta e contemplativa; e tanto, tanto amore".
da 'Per una filosofia dell'economia politica', Luigi Lombardi Vallauri (2011)
La crisi capitalista è sempre una crisi di adattamento: i selvaggi non faranno quello che il capitale gli (ci) chiede. "Adattati o crepa!", grida il capitale. E dice a sempre più persone nel mondo: "Non ti adatti, non ci servi: sei troppo vecchia, troppo incinta, troppo emotivamente instabile. Conosci troppa filosofia, i tuoi bambini si ammalano, chiacchieri con i tuoi amici, non parli inglese, pensi troppo poco ai soldi e troppo ad altre cose". E sempre più gente risponde: "Sì, è vero. Non ci adattiamo".
La crisi è un'esplosione di disadattamento, il risultato della mancanza di adattamento tra gli esseri umani e i requisiti della produzione di valore e della drammatica manifestazione di questa mancanza di accordo. "E' vero", ripetiamo, "non ci adattiamo".
Ma c'è qualcos'altro sulla punta della nostra lingua, vogliamo aggiungere qualcos'altro. E su questo qualcos'altro è appeso il futuro del mondo. Possiamo piegare la testa e dire: "E' vero, non ci adattiamo e dovremmo provarci di più: impareremo meglio l'inglese, miglioreremo le nostre abilità informatiche, butteremo via i nostri libri infantili di Marx e Bakunin, vieteremo ai nostri bambini di ammalarsi, smetteremo di invecchiare, di rimanere incinte, di essere straniere, di essere troppo innamorate, troppo instabili. Ci adatteremo".
Oppure possiamo alzare la testa e dire: "Sì, è vero, non ci adattiamo. E sai cosa? Non vogliamo adattarci. Non vogliamo adattarci a questo mondo di distruzione. E sai che altro? La tua crisi è la nostra incapacità di contenere il nostro poter-fare, la tua crisi è la liberazione della nostra creatività, della nostra magnifica capacità di fare. E allora ritorna nella pattumiera della storia, capitale, e lasciaci rifare il mondo da capo!"
da 'Crack Capitalism', John Holloway (2012)
Ponendo la globalizzazione nel contesto dello sviluppo del capitalismo, [si riesce] a comprendere quanta illusione [si celi] dietro la convinzione del progresso umano. Nel corso degli ultimi sette secoli, con l'unica eccezione della pace dei cent'anni dal 1815 al 1914 in Europa, i periodi caratterizzati da armonia economica, stabilità politica e pace internazionale sono stati di gran lunga inferiori a quelli segnati da disordini, lotte e guerre.
[...]
Reificare il mercato e affidarsi ciecamente alla sua capacità di condurre a un mondo più prospero e pacifico potrebbe portare alla distruzione della civiltà umana.
Il XX secolo ha dimostrato che la violenza scatenata dal quarto ciclo di espansione capitalistica si è rivelata quasi del tutto ingestibile. Ma la transizione dall'egemonia britannica a quella americana è di dimensioni assolutamente insignificanti rispetto alla transizione che il capitalismo sta attraversando oggi.
da 'Il caos prossimo venturo', Prem Shankar Jha (2006)
Mi pesa la sofferenza altrui. Non è un sentimento altruistico. Sono io che sto male, che vivo come insopportabili le condizioni di vita degli oppressi e degli sfruttati.
La politica, quindi, è stata anzitutto un agire per me, non per gli altri. Certo, come ho avuto modo di scrivere, gli altri c'entrano. Senza gli altri io non esisto (neppure sarei nato). E non penso di poter alleviare, se non insieme ad altri, quella sortas di nausea psichica che mi pesa addosso. Quel moto interiore si è espresso in un'adesione al movimento comunista.
da 'Indignarsi non basta', Pietro Ingrao (2011)
La guerra spagnola e altri avvenimenti degli anni 1936-37 fecero pendere la bilancia e allora capii quello che dovevo fare. Ogni riga della mia prima opera, che scrissi a partire dal 1936, fu scritta direttamente o indirettamente contro il totalitarismo e per il socialismo democratico come io lo intendo.
da 'Perché scrivo', George Orwell (1946)
In quanto alla loro vita di giovani di domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo di amare la legge è di obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando non sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.
da 'Lettera ai giudici', Lorenzo Milani (1965)
Giunto a questo punto del discorso posso indicare brevemente ciò che secondo me costituisce l’essenza della crisi del nostro tempo.
Si tratta del rapporto dell’individuo con la società. Egli però non sperimenta tale dipendenza come un fatto positivo, come un legame organico, come una forza protettrice, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali, o addirittura alla sua esistenza. Inoltre, la sua posizione nella società è tale che gli impulsi egoistici del suo carattere vengono costantemente accentuati, mentre i suoi impulsi sociali, che per natura sono più deboli, si deteriorano progressivamente.
Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro posizione nella società, soffrono di questo processo di deterioramento. Inconsciamente prigionieri del loro egotismo, essi si sentono insicuri, soli, e spogliati della ingenua, semplice e non sofisticata gioia di vivere.
L’uomo può trovare un significato nella vita, breve e pericolosa com’è, soltanto dedicandosi alla società.
L’anarchia economica della società capitalista, quale esiste oggi, rappresenta secondo me la vera fonte del male.
Vediamo di fronte a noi un’enorme comunità di produttori, i cui membri lottano incessantemente per spogliarsi a vicenda dei frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza, bensì tutto sommato in complice ossequio a regole stabilite in forma legale. In questo senso è importante rendersi conto che i mezzi di produzione, vale a dire l’intera capacità produttiva necessaria per produrre sia i beni di consumo che i beni
capitali addizionali, possono essere con pieno crisma legale – e per la maggior parte lo sono – proprietà privata di singoli.
Queste storture dell’individuo, secondo me sono la tara peggiore del capitalismo. Tutto il nostro sistema educativo soffre di questo male. Un atteggiamento esageratamente concorrenziale viene conculcato nello studente, abituandolo ad adorare il successo, come preparazione alla sua futura carriera.
Sono convinto che vi è un solo mezzo per eliminare questi gravi mali, e cioè la creazione di un’economia socialista congiunta a un sistema educativo che sia orientato verso obiettivi sociali.
In una tale economia i mezzi di produzione sono proprietà della società stessa e vengono utilizzati secondo uno schema pianificato.
Un’economia pianificata, che equilibri la produzione e la necessità della comunità, distribuirebbe il lavoro fra tutti gli abili al lavoro e garantirebbe i mezzi di sussistenza a ogni uomo, donna e bambino. L’educazione dell’individuo, oltre a incoraggiare le sue innate capacità, si proporrebbe di sviluppare in lui un senso di responsabilità verso i suoi simili anziché la glorificazione del potere e del successo, come avviene nella nostra società attuale.
da 'Pensieri degli anni difficili', Albert Einstein (1949)
lo 'SPOT'
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da SINISTRA SENZA SINISTRA, Feltrinelli 2008
Beati i poveri [...] e guai a voi, ricchi; Beati quelli che ora hanno fame, e guai a voi che ora siete sazi; Beati quelli che piangono, e guai a voi che ora ridete. Perché i ricchi avranno fame e piangeranno, mentre i poveri si sazieranno e rideranno, e sarà loro il regno di Dio.
Questo formidabile sermone 'inaugurale', che continua con il precetto di amare i propri nemici e porgere l'altra guancia, sta all'origine di un'intera tradizione di rivoluzone sociale. Compreso il regno, che passerà dai cieli alla terra, come nel canto dei tessitori di Lione:
Mais notre règne arrivera
Quando votre règne finira
Nous tisserons le linceul du vieux monde
Car on entend déjà la revolte qui gronde
C'est nous les canuts
Nous n'irons plus nus.
[...] 'Siamo i tessitori / e non andremo più nudi.'
da 'I penultimi', Adriano Sofri
Tra gli autori contemporanei che hanno cercato di comprendere la funzione politica dell'ideologia il più originale è stato certamente Antonio Gramsci, il quale aveva ben chiaro che in una società come quella moderna, nella quale l'opinione è la leva che la politica usa per generare consenso e obbedienza, la formazione delle credenze è tutt'altro che un lavoro del quale poter fare a meno. [...] La destra ha compreso molto più velocemente e meglio della sinistra la funzione e la necessità dell'ideologia, e si è mostrata capace di usarla sia come insopportabile adesione fideistica a slogan populistici, sia come linguaggio etico o dalla parvenza etica.
da 'Ideologia', Nadia Urbinati
Dunque fu tutto vano ? Dal Discorso della montagna alla presa della Bastiglia, dall'ottobre rosso alla lunga marcia, dalle tesi di Lutero alla liberazione di Saigon, o di Cuba (già "bordello dell'Impero americano" ai tempi gloriosi dell'incontrastato "mondo libero") e via esemplificando ? [...] Credo di no.
La storia procede a spirale. Dà l'impressione di tornare indietro anche quando, faticosamente, procede. [...] Procede così perché movimentata perennemente dalla ineguaglianza lancinante: che risulta fisicamente intollerabile, beninteso per chi si trova dalla parte "sbagliata". [E intollerabile moralmente per non pochi nella parte "giusta"]
E' proprio da quel lancinante disagio che nasce il movimento permanente della storia: caotico, disordinato, distruttore di idoli e di nomenclature, ma, appunto, pur sempre movimento.
da 'Uguaglianza', Luciano Canfora
Il bene supremo di cui parlava Aristotele risiede effettivamente nei beni di relazione, che non si risolvono semplicemente nello stare bene insieme, ma piuttosto nel divenire gli uni un bene per gli altri, secondo la grande sentenza di Spinoza: homo homini deus. [...] J. Stuart Mill scriveva: "Ogni consolidamento dei vincoli sociali [...] non soltanto [rafforza] l'interesse di ognuno a tenere effettivamente in conto il benessere altrui nel proprio agire, ma ci [conduce] anche a identificare sempre di più i nostri sentimenti con il bene degli altri o almeno con una sempre maggiore considerazione concreta per il bene altrui."
da 'Felicità', Salvatore Natoli
Si può dire tutto ma non che siamo a un comporsi delle contraddizioni nel nuovo ordine mondiale sperato dopo il 1989. L'aumento della finanziarizzazione dell'economia, cioè di denaro che produce denaro, il valzer delle spaccature e fusioni di proprietà con regolare dispersione di manodopera, la crescita delle incursioni predatorie nelle zone disastrate, il dilagare dell'economia criminale e il velenoso penetrare dell'illegalità come sistema, infine quella che Marx chiamava anarchia - l'anarchia del riprodursi, a unificazione capitalistica del mondo avvenuta, delle guerre commerciali che sembrano far tornare la storia indietro di un secolo e mezzo.
da 'Il vuoto a sinistra', Rossana Rossanda
Non esistono in natura processi di crescita continua. [...] Alberi e uomini non raggiungono il cielo. A un certo punto, la crescita economica incontra dei limiti. [...] Limiti di sostenibilità: un termine che si è imposto con particolare evidenza negli ultimi tempi. [...] Un'altra simmetrica contraddizione esterna il capitalismo la incontra non nella disponibilità delle risorse. ma nel loro uso. Il processo di accumulazione è una crescita senza fini.[...] La specie umana ha bisogno di finalità, trascendenti o immanenti, che diano un senso alla sua esistenza.. La distruzione del senso è altrettanto, anzi, più devastante della distruzione delle risorse.
da 'Turbocapitalismo', Giorgio Ruffolo
A questa politica che non ha strumenti per leggere la complessità [...] manca una visione complessiva. Vi sono momenti nella storia [...] in cui occorre saper sostare e riscoprire i valori etici fondamentali e caratterizzanti l'umano sul piano dei diritti. Il nostro è uno di quei tempi. Ritornano oggi decisive le grandi visioni che sappiano rendere concreti i valori di fraternità. [...] Ma per ritornare alle sorgenti etiche del fare politica, bisogna dare credito alle utopie cariche di futuro.
da 'Solidarietà', Virginio Colmegna
Sui giornali e alla televisione continua l'elogio del libero mercato, cioè di qualcosa che non esiste, smentito dalla realtà. E mentre si celebra la morte delle ideologie, delle utopie, [...] sale il concerto di lodi al 'capitalismo natura', cioè la corsa l profitto come unico premio ai cittadini laboriosi e unico freno ai pigri e ai disonesti. [...] Basta aprire gli occhi e guardare cosa succede nel nostro paese e nel mondo per capire che questo libero mercato non è libera concorrenza, ma uno scontro di giganti che dispongono di montagne di miliardi e dell'appoggio dei politici al potere: non libero mercato, ma spartizione tra i più forti.
da 'Onestà', Giorgio Bocca
Cosa significa, a rigore, tradizione socialista ? [...] Certo, si tratta di una tradizione che include anche - come negarlo ! - gli sviluppi a dir poco degenerativi del "socialismo realizzato". [Tuttavia] sarebbe [...] storicamente improprio misconoscere per questo motivo il ruolo decisivo che i movimenti socialisti, nella loro lunga storia, hanno avuto nella nascita (e nel consolidamento) di quel nucleo di rivendicazioni sociali che è diventato ormai parte del senso comune in ogni società democratica. Mi riferisco al riconoscimento, per millenni negato e calpestato, dei diritti (umani) di chi svolge un lavoro, manuale o intellettuale, nella società. Diritto all'uguaglianza, alla salute, all'istruzione; diritto allo stesso trattamento economico per uomini e donne; diritto alla sicurezza nella vecchiaia e alla libera scelta del lavoro da svolgere. Insomma, il riconoscimento dei diritti di uomini e donne a vivere in condizioni di libertà e di dignità.
da 'Radici', Tomàs Maldonado
Il tempo delle socialdemocrazie è tutt'altro che passato. Il tempo di partiti che vogliano esprimere politiche di sinistra, rimanendo deliberatamente e programmaticamente privi di cultura politica e senza basi sociali è tutt'altro che arrivato. Soprattutto, in assenza di una concreta e praticabile opzione socialdemocratica che si contrapponga consapevolmente ai partiti liberali, conservatori, democristiani, a nessun paese sarà dato di costruire una società più giusta.
da 'Socialdemocrazia', Gianfranco Pasquino
un 'PRECEDENTE' speciale
una PENSATA
Liberazione: sostanza politica per l'Unione Europea
25 aprile 2012
Pensavo.
Ciò che è davvero sotto attacco sin dall’inizio della crisi mondiale, è il cosiddetto modello sociale europeo – quello in cui le donne e gli uomini condividono un patto di civiltà per cui la collettività fa fronte comune ai casi e ai momenti negativi dell’esistenza individuale: la malattia, la vecchiaia, l’incidente, la solitudine, l’ignoranza, la miseria, la morte.
Perché questo modello è sotto attacco? Primo, perché in termini finanziari costa molto (anche se in macroeconomia riporta indubbi vantaggi, nel progresso umano e nella sicurezza diffusa – ma teoricamente si può far finta di non vederli). E secondo, perché nell’era dell’interconnessione planetaria il Sistema teme sul serio che il modello sociale di un continente da mezzo miliardo di persone vada a ‘contagiare’ gli altri sei miliardi e mezzo di umani – e visto che non può permetterselo, allora attacca direttamente il ‘focolaio’.
E perché non può permetterselo? Perché al sistema globale il modello sociale europeo adesso costa troppo?
Non accettò forse che per almeno un trentennio dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa si organizzasse in tal modo in termini di assistenza, previdenza, istruzione, servizi al cittadino, al lavoratore, alla donna, al bambino, alla famiglia, all’anziano, al disabile, all’indigente? Non permise, il Sistema, che questo modello parlasse di sé al mondo intero attraverso la cultura europea del dopoguerra, le conquiste civili, politiche e sindacali, e l’affermarsi di ideali e pratiche di pacifismo, ambientalismo, solidarietà e partecipazione quali il pianeta non aveva ancora visto?
Tutto vero – Ma, in breve: non può più permetterselo perché il Sistema, cioè il Modo neocapitalista globale di produzione e scambio di beni e significati, non ha affatto ‘sposato’ il modello sociale europeo come orizzonte cui tendere per progressive generalizzazioni, bensì come ‘male minore’ rispetto al pericolo della messa in discussione dei suoi stessi fondamenti (proprietà privata come dogma, profitto delle élite come criterio) da parte di strati di popolazione sempre più ampi e consapevoli: le classi.
“Gli europei sono il problema – dice, più o meno, a se stesso il Sistema negli anni ‘40 del Novecento – Dunque l’Europa sia la soluzione: dategli il loro modello sociale, le loro riforme, dategli tutto il Keynes che possiamo accettare: purché la piantino di elaborare la rivoluzione! Stiamo ancora tirandoci bombe perché le dittature che avevamo favorito per contrastare l’esperimento sovietico, ad alto rischio contagio, sono diventate quasi peggio dei comunisti: quando sarà finita non vorremo certo ricominciare da capo! Ci è andata bene che a Mosca comandi ormai un nuovo zar, tutt’altro che un rivoluzionario; e abbiamo fatto comunque affari producendo aerei, corazzate e carri armati; stiamo affinando scienza e tecnologia, organizzazione e propaganda, e questo ci servirà ad ogni modo d’ora in poi… Ma gli europei, evolutisi come sono in classi coscienti, sono pazzi abbastanza da tornare a volere la giustizia in Terra! Allora diamogli una cosa che ci somigli, teniamoli buoni mezzo secolo almeno e facciamo affari lo stesso. Dopo vedremo.”
Ma perché gli europei sono così? E poi – il Sistema, invece, a che continente appartiene?
A questo pensavo, in effetti.
Prima il secondo punto.
Il sistema globale – il Modo – non è di nessun continente, ed è di tutti.
La dico un po’ così: esso è trasversale all’Umanità intera, ed è pertinente ad ogni singolo essere umano, nella misura in cui è il dispositivo ad oggi messo a punto dall’istinto di sopravvivenza della nostra specie; è il suo presente, il suo strumento efficace – come le branchie e la vescica natatoria per i pesci, le ali e le ossa leggere per gli uccelli, i bei colori grazie ai quali i fiori attirano gli insetti per l’impollinazione, l’appetito e le fauci possenti dei grandi carnivori; è senza giudizio, nel senso morale del termine, ed è invece tutta la dote di giudizio di cui disponiamo se intendiamo per ‘giudizio’ l’atto della valutazione praticamente istantanea riguardo alle probabilità di vivere o morire, riguardo cioè – ripeto – alle condizioni della sopravvivenza umana entro la realtà data.
Manca di progettualità sul lungo termine, ed è immanentista in senso stretto – ma è la sua forza, e ne ha parecchia. In altre parole – se il Sistema fosse un ‘carattere’, sarebbe un pessimista radicale e coerente, attaccato alla vita e fatto scaltro da un’esperienza di molte generazioni.
Ancora. il Modo neocapitalista globale di produzione e scambio di beni e significati è il sistema attuale, ed attualmente interprete e strumento di una volontà di sussistenza (ma solo nel breve periodo, ripeto, già meno efficace nel medio – e del tutto cieca sul lungo), sistema agito per il tramite delle persone che tale volontà sono nella posizione di esercitare: le élite planetarie. Ma non ha avuto sempre le stesse caratteristiche: per alcuni secoli prima del Ventesimo, il sistema potremmo denotarlo come Modo mercantile-colonialista di produzione eccetera, e prima dell’urbanesimo tardo-medioevale come Modo feudale eccetera, e prima ancora Modo imperiale-schiavista, e prima ancora dipende se vogliamo oppure no azzardare un’unica denotazione per i diversi processi simultanei di produzione e riproduzione sociale, a quell’epoca arcaica davvero molto differenti tra loro – quasi irriducibili.
Come si vede, il modo – la fisionomia oggettiva del Sistema – cambia nel tempo così come cambia l’organo di un vivente sotto la pressione selettiva ambientale (ossia: la disponibilità delle risorse e le dinamiche demografiche); e insieme cambia la composizione delle élite cui spetta l’applicazione del Sistema, ‘un Modo dopo l’altro’. (Anche se ad autoconservarsi, queste élite, ci provano sempre.)
Ma c’è tanta letteratura scientifica sul tema, e sfumature diverse di tanti autorevoli pensatori – anche tra quelli concordi nei lineamenti generali di questa lettura materialista della Storia. Perciò a me basterà che qui sia chiaro ciò: che il Sistema, oggi come sempre, non ha patria né etnia, e che è quanto di più prossimo alla pura animalità – all’animalità scaltra, ma incapace di astrazione – possiamo osservare dell’umano quale ‘collettività impersonale’.
(Senza alcun giudizio né valore altro che fattuale. Il che però è proprio quel che disturba nel profondo me e qualunque altro ‘umano morale’ – e quindi ‘deviante’, in qualche misura.)
Torniamo ora al primo punto. Gli europei.
Intanto – chi sono gli europei? I nati in uno degli Stati d’Europa? Ma dell’Europa di cui all’Unione Europea odierna, o al continente geograficamente inteso? O sono solo i cittadini degli Stati europei, quelli giuridicamente protetti come tali? O invece sono i ‘parlanti’ una delle lingue dell’Europa storica? O sono anche i migranti arrivati in Europa? O anche i migranti dell’Europa verso il mondo?
Io me la cavo così, soggettivisticamente e tautologicamente insieme: gli europei sono quegli tra gli umani ‘che ci si sentono’, più quelli che senza porsi il problema identitario conformano la propria vita al complesso paradigma valoriale distillato dai secoli e secoli della composita parabola culturale europea.
Stiamo daccapo? Faccio un passo avanti.
Quali sono gli elementi di tale parabola, la cui composizione la rende unica – e unica l’Europa, e unici gli europei (in quanto sopra in-definiti)?
Eccoli, sono tre: religione, filosofia, diritto.
Più precisamente: la spiritualità comunitaria e solidale, la filosofia morale e l’etica politica, i diritti della persona e le salvaguardie giuridiche della sua dignità.
(E perché, alle ‘parabole’ degli altri continenti – ossia degli ‘asiatici’, degli ‘africani’ e degli ‘americani’, tralasciando la ‘novissima’ Oceania – cosa manca? Andando giù molto grossolanamente, direi: manca la spiritualità comunitaria e solidale all’Asia, i diritti della persona e le salvaguardie giuridiche della sua dignità all’Africa, la filosofia morale e l’etica politica all’America. Ma prendetela con le molle, questa, e ai soli fini di questo mio ragionare superficiale.)
Io non sono un giurista, non vivo né di formulazione della legge né della sua applicazione, posso quindi – nel contesto di questo discorsetto – guardare al diritto non tecnicamente ma più che altro come una delle ‘modalità di ancoraggio’ delle collettività umane a un paradigma di valori che considero indice di civilizzazione, e stimare se e quanto tale ancoraggio funzioni.
E stimo di sì. Ritengo cioè che la costruzione del diritto – segnatamente degli istituti normativi che proclamano i diritti della persona e di quelli che ne prevedono la tutela – sia arrivata a buon punto; ossia, che nell’ipotesi fantascientifica di un’interruzione improvvisa dell’opera di ‘creazione continua’ del diritto (per perdita d’interesse degli umani al tema, per esempio), comunque quello che già abbiamo – se possiamo tradurlo nel profilo effettivo della convivenza tra cittadini – giustifichi il fatto che nella nostra storia di specie esso ci abbia occupati per un bel po’.
Inoltre, non sono un filosofo – non vivo né di elaborazione filosofica né del suo insegnamento – posso quindi guardare alla filosofia non tecnicamente eccetera e stimare se l’ancoraggio eccetera come sopra.
Di nuovo, stimo di sì. Ritengo che l’elaborazione della filosofia – segnatamente nell’acquisizione di problematiche condivise e feconde in filosofia morale e nell’esame etico dell’azione politica – sia arrivata a buon punto; che nell’ipotesi fantascientifica eccetera come sopra.
Infine, non sono un religioso – non vivo di apostolato confessionale, e sono serenamente ateo – posso quindi eccetera e stimare eccetera come sopra.
Stimo, ancora una volta, di sì. Ritengo che la penetrazione dell’idea religiosa – segnatamente di una religiosità che pone la solidarietà tra gli umani almeno all’altezza della dedizione al divino, tra i propri pilastri – sia arrivata a buon punto; che nell’ipotesi fantascientifica eccetera come sopra, e ho finito.
(Tralascio completamente e intenzionalmente i contesti oggettivi – economici, sociali, demografici, climatici perfino – che determinarono a suo tempo lo ‘scoccare’ di questi tre vastissimi ambiti dell’umano, e quelli che ne hanno condizionato i rispettivi sviluppi. Mi limito a saggiarne gli esiti, il ‘precipitato’, nella contemporaneità e per l’uomo comune – quale sono io.)
Cosa voglio dire con tutto questo? Semplicemente che – l’Europa contemporanea differenziandosi dal resto dell’episteme per i tre elementi storici sopra menzionati, ed essi elementi riscontrandosi essere tutti e tre giunti a sufficienti livelli di compiutezza e di diffusione – un modello sociale nel quale la collettività fa fronte comune a casi e a momenti negativi dell’esistenza individuale come la malattia, la vecchiaia, l’incidente, la solitudine, l’ignoranza, la miseria, la morte, e si organizza per rispondere concretamente in termini di assistenza, previdenza, istruzione, servizi al cittadino, al lavoratore, alla donna, al bambino, alla famiglia, all’anziano, al disabile, all’indigente, ebbene non poteva che essere il modello sociale europeo della seconda metà del XX Secolo: quello nato dalla lotta partigiana e popolare contro il nazifascismo, dagli ordinamenti giuridici e costituzionali sorti da tanto risveglio.
Quel modello che sta finendo oggi, per la precisione.
Anzi, per maggior precisione: che oggi sta subendo l’assalto terminale, essendosi già da tempo intaccata la ‘sopportazione’ di altri modelli – meglio: del Sistema nella sua generalità – nei confronti del medesimo.
Da quando? Da più di trent’anni, diciamo dalla metà degli anni ’70.
Vediamo come e perché.
Ho già detto, un po’ fantasticando, quel che deve aver rimuginato il Sistema nel corso della Seconda Guerra Mondiale, a proposito della specificità europea e della ‘riduzione del danno’ da porsi in essere consentendo al nostro continente la sperimentazione del welfare, come frutto di un ‘dialogo controllato’ tra capitale e lavoro, per disincentivare la ricognizione di un (pericolosissimo, ai suoi ‘occhi’) eurosocialismo. Ho buttato lì che per quelle ‘teste d’uovo’ una passeggiata del genere avrebbe potuto tenerci buoni per un mezzo secolo, durante il quale comunque le leve del potere vero sarebbero rimaste nelle solite mani e i dogmi fondamentali del medesimo (proprietà, profitto) non avrebbero corso grossi rischi.
Solo che è durata meno. ‘Appena’ trent’anni – al netto delle differenze regionali.
E’ durata meno perché – in soldoni – da una parte lo stesso welfare, prevedendo un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e contestualmente una diffusione di buoni livelli di istruzione e di canali efficienti di intercomunicazione tra gli individui e tra i ‘corpi intermedi’, ha favorito proprio quell’autocoscienza montante degli umani (il cui culmine mitopoietico fu il 1968) che il Sistema vede abbastanza come la peste (pur esso richiedendo, per lo svolgimento di molte mansioni previste dalla divisione locale e globale del lavoro, l’oggettiva emancipazione dei singoli e dell’organizzazione produttiva – ma questa contraddizione è il fulcro stesso del ‘moto della Storia’, nella nostra chiave di lettura!), e dall’altra parte è durata meno perché si è manifestato per la prima volta dall’epoca della Rivoluzione Industriale lo spettro dell’esaurimento delle risorse energetiche indispensabili a tutta la ‘piramide’, con la crisi petrolifera del 1973, il che costrinse i pensatori di cui sopra a riconsiderare rapidamente la lunghezza del filo da cedere o meno all’aquilone del costoso modello sociale europeo.
Riconsiderarono allora di tirarlo giù.
Ma lentamente, senza provocare contraccolpi – vedi: movimenti di rivolta popolare o di diserzione fiscale o di moratoria dei consumi – ancor più onerosi.
(Parlo sempre dell’Europa – anzi, neanche tutta: solo delle maggiori economie europee. Perché infatti i contraccolpi furono messi in conto, altro che, e subito schiacciati in barba alla stessa democrazia – il ‘biglietto da visita’ dell’Occidente, pensate, in faccia al Socialismo Reale per tutto il tempo della Guerra Fredda – però ‘solo’ in contesti circoscritti come la Grecia, messa in mano ai Colonnelli, o periferici come il Cile del colpo di Stato contro Allende.)
E ‘lentamente’ voleva dire: con una doppia manovra simultanea – che pertanto avrebbe richiesto del tempo.
Sarebbe?
Azione ‘uno’: smontare pian piano il nostro modello sociale essiccandone le risorse sia dinamiche (riducendo la contendibilità – benché già limitata – del potere delle élite da parte dei partiti e dei sindacati, pur blandamente, anticapitalisti) sia economiche (con la giustificazione ‘oggettiva’ della minor ricchezza generale disponibile – madre questa della immane deregulation reaganiana e thatcheriana e corifei ed epigoni vari). Azione ‘due’: diffondere un paradigma dis-valoriale, e acquisire presso i popoli consenso attorno ad esso, tale che la giustizia e la solidarietà sociale fossero man mano scalzati dall’egoismo e dalla diffidenza (a ciò si provvide un poco lasciando libertà di manovra al terrorismo quel tanto che serviva a disincentivare l’impegno politico di base, e moltissimo con l’esplosione del sistema mediatico al centro esatto del ‘buon senso comune’).
Ma non se ne accorse nessuno? (Parlo ovviamente di quelli che avevano interesse a che la doppia manovra non desse i suoi frutti.)
Pochi, e inascoltati o fraintesi.
In Italia, Pasolini e pochissimi altri.
Come che sia, ha funzionato. Complice, la ‘fortuna’ – anche se io credo che la fortuna a questi livelli di gestione planetaria sia un lusso che nessuno può permettersi –; la fortuna di contestuali accadimenti quali: l’implosione dell’impero sovietico (mica creato da Stalin e blindato da Breznev per poter rimodellarsi alla trasparenza gorbacioviana), il ruolo di ‘traino popolare’ del papato di Woytjla (non sembri forzato, ma: se passa per la testa della gente una ‘buona’ idea anti-realista, allora passano tutte – edonismo compreso), il sorgere ‘spaventevole’ dell’integralismo islamico (e qui la mitopoiesi benedetta dal Sistema è tutta in un solo giorno di settembre del 2001), la prodigiosa accelerazione dell’informatica e della telematica (senza le quali l’entità e la rapidità dell’affarismo transnazionale sarebbero impensabili) e l’incessante pressione demografica del mondo povero su quello ricco (la qual cosa non predispone certo gli abitanti di quest’ultimo alla serena disamina dello stato dei fatti, e infatti i populisti xenofobi trovano in ciò il miglior brodo di coltura – e peggio sarà col peggiorare della crisi economicosociale).
(Ma come, la pressione dei poveri alle porte dei ricchi è considerata un vantaggio dal Sistema? E’ forse stupido?
L’ho già detto. Esso è stupido come una mandibola, e non vede al di là del proprio interesse semi-immediato.)
E intanto che erodeva il modello sociale europeo, il Sistema cos’altro faceva? Affari, com’è la sua sola natura. Ma facendoli, da organismo vivente qual è, assumeva la forma più idonea all’ambiente che esso stesso andava modificando – in piena conferma dei principi adattativi complessi. E diventava, compiutamente nel corso dell’ultimo decennio del millennio scorso, il Modo attuale: neocapitalista globale di produzione e scambio di beni e significati – quello di cui si può dire oggi con buon grado di certezza che, primo fra tutti i Modi storici del Sistema, ha uniformato almeno tendenzialmente l’intero pianeta Terra a un solo principio, che formulo un po’ così: la proprietà, la creazione e il consumo vòlti esclusivamente al profitto economico, immediato e sperequato, da tradursi poi in altra proprietà, altra creazione, altro consumo.
Ma la Terra e questo Modo – in particolare, meglio: e l’onnipervasività da esso conseguita – sono compatibili?
No. Si può rispondere così in tutta scienza e coscienza.
No soprattutto considerando che circa un miliardo e mezzo di altri umani, cinesi, più un altro miliardo e oltre di altri ancora, indiani, marciano ormai spediti – volenti o nolenti loro, volente senz’altro chi li governa in politica e finanza – con in tasca una versione, appena attualizzata e orientalizzata, di quel sogno americano che ha costituito la più potente ‘vision di massa’ del XX secolo.
(In effetti, a tal proposito, noterei che il 1989 dovrebbe essere ricordato non soltanto per la caduta del Muro di Berlino – fatto importante, ma dalle conseguenze tutto sommato regionali, europee, e a mo’ di rendiconto di un’epoca passata – bensì per il massacro di piazza Tienanmen, il quale sanciva la determinazione implacabile del Sistema nel far entrare anche il gigante cinese, giusta la netta revisione di Deng Xiaoping dei progetti di Mao, nelle fila del capitalismo globale senza farlo passare affatto per la maturazione della minima dialettica democratica, civica e sindacale.)
E no – un no fattuale, corroborato dall’osservazione scevra di ideologie –: il Modo non è più compatibile con un pianeta che la specie umana voglia abitare senza trasformarlo in una discarica (cioè uccidendolo) e/o in uno scannatoio (cioè suicidandosi), vista la dimensione reale della crisi in corso.
Eppure i detentori del potere decisionale nel Sistema non sembrano avvertiti di tali ovvietà.
Sono stupidi? Sono pazzi?
Non è strettamente necessario postulare né l’una cosa né l’altra – sebbene non siano da escludersi a priori –, poiché per giustificare i loro atti (che dimostrano la pervicace intenzione di non intervenire sulle fondamenta e sui pilastri del Modo) è sufficiente l’ipotesi che siano ragionevolmente convinti di scegliere così il male minore.
Quale?
Un bello scossone all’episteme; di quelli passati i quali ci si conta, e con chi è rimasto in piedi si ricomincia un’era.
(Nel mondo della natura vivente, ma inconsapevole, succede. Due esempi famosi: il cambiamento radicale delle condizioni ambientali globali, per la caduta di un gigantesco meteorite nel golfo del Messico, 65 milioni di anni fa, che provocò l’estinzione dei grandi rettili – i dinosauri – e preparò il ‘successo’ dei mammiferi, e tra i mammiferi dei primati, ossia anche della nostra specie; e l’ancor più drammatico stravolgimento – tuttora inspiegato – occorso circa 250 milioni di anni fa alla fine del periodo geologico Permiano, con l’estinzione del 57% di tutte le famiglie tassonomiche e dell’83% di tutti i generi, dalla quale tuttavia riemersero con un destino lungamente egemone forme di vita vertebrata come quella, appunto, di dinosauri e uccelli.)
E questo sarebbe il minore dei mali?
Probabilmente sì, a giudizio di chi ritiene l’alternativa radicale – ossia lo smantellamento del Sistema stesso: un’eresia contro i dogmi della proprietà e del profitto, direbbe Benjamin – lo scoperchiamento del vaso di Pandora, lo spegnimento dell’unica molla dell’azione umana, cioè l’egoismo puro. Insomma: la fine stessa della Storia, la scomparsa della nostra razza per consunzione.
C’è gente che ragiona così, in effetti – pensate. Così come potrebbe cogitare un alligatore riguardo ai propri casi, se solo cogitasse.
E invece io pensavo questo.
Che il Sistema – già prima descritto come funzionale alla sopravvivenza a breve ma miopissimo sul futuro, nel quale per di più una quota rilevantissima di decisioni sono ormai affidate a processi informatici automatizzati e inintenzionali – si sta orientando in modo tale da far rientrare nel nulla da cui è fuoriuscita la ‘singolarità europea’ cui abbiamo accennato, perché essa suonerebbe ‘innaturale’ quanto la compassione in un termitaio e perché comunque il tempo dei giochi sarebbe finito.
E che le élite che lo governano – mica poca gente, tutto sommato: diciamo 10 milioni di umani in tutto il mondo – stanno correndo a dotarsi delle risorse e degli strumenti utili a far fronte al più grande (anzi: al primo), processo di de-civilizzazione della nostra Storia.
(Dove per ‘civilizzazione’ ci intendiamo, suppongo, senza altri dettagli.)
Come ci riescono? (A salvarsi, intendo.)
Spingendo l’acceleratore proprio sulle asprezze della crisi finanziaria in corso – non sembri un paradosso – grazie all’immensa speculazione sulla quale, possono drenare e accumulare ricchezze e beni-rifugio buoni ad ogni evenienza per quanto catastrofica.
Anche senza scomodare visioni da fiction del tipo ‘gli uomini del Potere nel breve vi scaricano la crisi, sul medio allestiscono il fascismo, e per il lungo ci sono le astronavi’ (ma nel mio blog un post così icastico ci sta benissimo), tuttavia – magari senza che ne fosse il fine ultimo sin dall’inizio – l’autismo monetaristico del Modo neocapitalista eccetera non solo non rimette in sesto il Sistema, non solo affama il 99% dell’Umanità, ma ingrassa a dismisura i suoi demenziali (tutt’altro che dementi) amministratori: i creatori di un’intera genealogia di prodotti finanziari derivati e derivati dei derivati e scommesse sui derivati al quadrato e al cubo, senza più alcun aggancio all’unica fonte di ogni ricchezza reale – il lavoro.
Il destino di sette miliardi di anime appeso a una bava infinita di carta straccia. Tutto per non ammettere: ‘abbiamo sbagliato’.
E questo è l’oggi.
(E io sto concludendo.)
Ma l’Europa è qui, ancora – pensavo.
Ancora (per poco) al centro di una dinamica planetaria epocale, e quindi (ancora per poco) in condizione di mettere la propria singolarità – il ‘sogno dell’Umano’ a lungo praticato – al servizio di quei sei miliardi e mezzo di cittadini del mondo che europei non sono, né peraltro possono blindarsi come élite nei luoghi e nei privilegi del potere, nel mezzo del caos che viene.
L’Europa è qui, ora.
Ed è adesso che deve rendere in termini di capacità progettuali e organizzative, al mondo che ha depredato nei secoli del colonialismo (e che ci conforta esso stesso con ‘prese di coscienza’ regionali e pratiche conseguenti – come le primavere arabe, le rivendicazioni democratiche indocinesi, i movimenti latinoamericani per la terra e la legalità): rendere la materia di cui si è nutrita.
Ne ha fatto cultura e spirito, immersi nei quali siamo cresciuti fino a tanta grazia – ha pasciuto me, e gente come me. Ne sprema adesso fino all’ultima goccia tutta la forza politica. Che non è poca. (Ancora.)
In Europa abbiamo istituzioni democratiche, almeno formalmente, in ogni Paese e nella giovane unione continentale; abbiamo dinamiche di partecipazione dal basso, consolidate; abbiamo organizzazioni rappresentative dei lavoratori, comunque intesi, che almeno in teoria hanno statuti tali da poter trattare con i consigli di amministrazione e le loro federazioni; abbiamo partiti – nei Paesi d’Europa – nel cui DNA, almeno lì, è scritta una missione di progresso e di equità, di solidarietà e di giustizia; abbiamo movimenti, associazioni e collettivi che fanno da battistrada al mondo nel riconoscimento e nella tutela dei nuovi diritti della persona e dell’ambiente; abbiamo un Parlamento Europeo, e una Commissione che funge da organo esecutivo dell’Unione – benché con limitate potestà di governo.
Soprattutto abbiamo limpido il valore della vita, di ogni vita; e del retaggio del tempo trascorso; e della responsabilità verso quello a venire.
Ecco: tutto questo non sia solo ‘museo’. Tanto meno, bottino di guerra.
E il momento di dimostrarlo – se mai se ne desse uno – è arrivato.
Per quanto detto, la mia proposta è la seguente.
Chi tra noi abbia coltivato in sé – ma sul serio, profondamente, non per moda, non per istinto gregario, non per puro ribellismo fine a se stesso – chi abbia coltivato, fosse pure per una sola stagione sincera, lo scandaloso ideale dell’eguaglianza tra tutti gli uomini, eguaglianza in diritti e in opportunità; e si sia persuaso – per riuscire a intravederne la concreta possibilità, almeno a tendere – si sia persuaso per via di studio, di narrazione o di esperienza diretta, della teoria secondo cui il presupposto di quell’ideale egualitario è la riduzione drastica e strutturale delle sperequazioni economiche del tempo presente; ebbene – ricordi ora quell’ideale, ritrovi ora i motivi di quell’esser persuaso, apra oggi un onesto dialogo con la propria coscienza e col proprio intelletto e valuti se l’aver smarriti per la strada del tempo il sogno dell’umana eguaglianza e il metodo della giustizia sociale non si debba, per caso, all’ispessimento naturale della buccia del cuore, all’anelasticità progressiva del cervello, al conformismo timorato degli anatemi contro antiche (e ammettiamolo: mal giocate) parole d’ordine, ma non già all’errore insanabile dell’ideale né all’inapplicabilità intrinseca della teoria.
E se ciò riscontri all’esito di quel dialogo sincero, ossia che gli umani è giusto che siano uguali in diritti ed opportunità e che i mezzi utili al fine sono la giustizia sociale, la cura concreta del generale interesse e la sua preminenza sempre e comunque sulla tutela dell’orizzonte puramente individuale, ebbene – aggiunga conclusivamente agli attributi che rimette al se stesso attuale, adulto, cosciente, anche il predicato dell’espressione ‘io sono socialista’, e tragga da ciò tutte le conseguenze etiche e politiche (cioè: private e pubbliche) in un momento storico come questo.
In Italia – costui, io, noi – si uniscano a chi altri la pensi così, e diano rapidamente forma e struttura e linfa nuova a soggetti collettivi capaci di alzare una voce chiara, unitaria, forte di una teoria che già esiste, con gli arricchimenti e le ridefinizioni che giungono fino a oggi. Che questa unità si candidi a intercettare democraticamente il consenso degli altri cittadini, che sappia conquistarlo stabilmente con la forza del ragionamento coerente e dell’esempio morale di chi lo enuncia; e che a partire da questo Paese, democraticamente ci si proponga di incontrare altri soggetti del pari emergenti o riemergenti oggi in seno alle classi più consapevoli dei popoli d’Europa – i quali tutti riescano poi a scaldare la generalità dei cuori e rinfrescare la maggioranza delle menti con una visione grande e profonda dell’Unione Europea, come baluardo del più concreto umanesimo. Socialista.
E le intelligenze migliori, le braccia più forti, i nervi più saldi, le comunità più emancipate, le lotte più conseguenti di ogni latitudine planetaria, e colore della pelle, e lingua, e musica nei piedi – il 99% del Genere Umano è già virtualmente pronto a dare corpo e misura a questa nuova immensa piramide, finalmente rovesciata. Ideale, eppure concretissima.
Pensavo.
Che per tanto ingaggio – e indispensabile – servirebbero ora donne e uomini i quali, una volta condivisa la teoria e decisa la pratica, sapessero guidare le moltitudini verso un cambiamento tanto radicale (esso richiedendo a tutti una profonda riconversione della coscienza del proprio stare al mondo, pari solo alla contestuale riconversione del modello concreto di società, economia e diritti), talmente radicale che soltanto con la guida e l'esempio di uomini e donne davvero straordinari, noi poveri cristi potremmo accettarlo per quel che deve essere: un risveglio e un entrare tutti in un'età nuova, quella in cui ‘a ognuno secondo i suoi bisogni e da ciascuno secondo le proprie possibilità’.
Geni nell'intelletto, titani della volontà, santi dell'etica – guide così servirebbero, alle quali guardare nei momenti di maggiore dubbio o difficoltà, per non perdere la memoria di ciò che stiamo facendo e del perché, per non perderne lo stesso desiderio che compensi l'immane sforzo.
I Socrate, i Francesco, i Marx, le Ipazia, le Louise Michel, le Ibàrruri, le Arendt, i Gramsci – solo per fare qualche nome.
Ma non ci si può scegliere un capo. Un capo nasce – se ne nasce uno – dove capita; e se in prossimità nostra, allora ci riguarda ed è buona sorte per noi.
Non si può nemmeno scegliere il luogo e il tempo della propria nascita, però, ovviamente. Ma essi – a differenza dei capi – indubitabilmente ci riguardano, per definizione.
E quel tempo e quel luogo in cui venimmo alla vita ci hanno scagliati qui, adesso.
La mia proposta – pensavo – è per arrivare a un domani e ovunque, ma arrivarci con le nostre gambe umane.
L’Europa, il mondo. La piena umanizzazione. L’ultima liberazione.
Paolo
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LA LOTTA DI CLASSE dopo la lotta di classe
di Luciano GALLINO - intervista a cura di Paola Borgna
(dalla recensione-colloquio con Matteo Pucciarelli - MICROMEGA 2/12)
[...] La lettura dell'ultimo lavoro di Luciano Gallino "La lotta di classe dopo la lotta di classe" (intervista a cura di Paola Borgna, editori Laterza) [...] smonta uno a uno i dogmi dell'idea, anzi dell'ideologia moderna liberista, così trasversale, così apparentemente intangibile, come se non ci fossero altri schemi possibili all'infuori. E Gallino lo fa mettendo in fila dati, studi, e non opinioni. Senza facili populismi, senza scorciatoie preconfezionate. Spiegando che la lotta di classe esiste, eccome. Solo che si è ribaltata: è il turbo capitalismo che ha ingranato la quarta contro le conquiste dei movimenti operai ottenute fino agli anni ’70. E i lavoratori sono sempre più divisi al loro interno, impegnati in un’altra lotta, quella tra poveri.
Un testo imprescindibile per capire dove stiamo andando, e seguendo quali (folli) logiche. Un testo che a sinistra dovrebbe – o potrebbe, chissà – diventare una sorta di bibbia laica.
Era un'ottima occasione per parlarne direttamente col professore e sociologo piemontese.
Partendo dal tema del momento: dopo aver letto il libro sembra di capire che l'attacco all'articolo 18, ma anche semplici frasi come quella di Monti «le aziende non assumono perché non possono licenziare», siano in realtà parte di un disegno ben preciso: quella lotta di classe alla rovescia di cui parla nel libro. È così?
«Direi di sì. Si tratta di idee che circolano da decenni, che fanno parte della controffensiva iniziata a fine anni ’70 per superare le conquiste che i lavoratori avevano ottenuto a caro prezzo dalla fine della guerra. Riproposte oggi sembrano sempre più idee ricevute, piuttosto che analisi attinenti alla realtà. Dottrine neoliberiste imposte adesso con la forza, combattendo i sindacati, comprimendo i salari e tagliando le spese sociali».
Lei scrive: «La correlazione tra la flessibilità del lavoro – che tradotto significa libertà di licenziamento e insieme uso esteso di contratti di breve durata – e la creazione di posti di lavoro non è mai stata provata, se si guarda all’evidenza accumulatasi con i dati disponibili». Qui da mesi e mesi alla tv ci riempiono la testa col “modello danese”, poi quello tedesco... Ci fu la riforma Treu nel '96, poi quella Biagi, e ancora non sembra bastare. Allora forse la Cgil non dovrebbe firmare la riforma, anche se la clausola del reintegro venisse reintrodotta, perché è tutto l'impianto ad essere sbagliato...
«La Cgil è in una situazione molto difficile. Anche perché gran parte degli altri sindacati e dei media sono favorevoli a questa visione neoliberale. L’Ocse non è mai riuscita a provare l’esistenza di una correlazione tra flessibilità e maggiori posti di lavoro, e in alcune sue pubblicazioni arriva perfino ad ammetterlo. E anzi, c’è un aspetto paradossale: usando gli stessi indici dell’Ocse, si scopre che ad aumentare dovrebbe essere la rigidità, semmai. Perché dopo la riforma del 2003, che ha aumentato la cosiddetta flessibilità in Italia e che la rende superiore ad altri paesi come Francia, Germania e Inghilterra, i nostri indici occupazionali sono peggiorati».
La sinistra sembra giocare sempre in difesa. Passa per conservatrice. Che poi in effetti è vero, perché difende diritti acquisiti. Eppure il messaggio non passa, e se passa lo fa negativamente. “La vecchia sinistra, anti-moderna”. Il progresso sembra appannaggio di chi professa lo smantellamento del modello sociale. C'è un problema di comunicazione? Perché la sinistra ha così tante difficoltà a farsi capire da chi dovrebbe difendere?
«C’è un problema non grosso come una casa, ma come un grattacielo. Se a sinistra non c’è un partito di grande dimensioni che non difende il “Lavoro” significa che siamo davvero malmessi e che l’impresa diventa ancor più ardua. E poi la sinistra ha contro la maggior parte dei media e della classe politica, anche quella della “sinistra” stessa. Perché sono state introiettate quelle dottrine neoliberiste di cui prima. La lotta ideologica contro i sindacati per adesso ha vinto, culturalmente in primis. Basta vedere il calo degli iscritti al sindacato nei Paesi sviluppati. E questo ha inciso anche sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica».
Verrebbe da dire che la fine delle ideologie è una grande bugia. Perché una è sicuramente rimasta, viva e vegeta....
«La fine delle ideologia è una delle più robuste e articolate ideologie in circolazione. È servita ad assicurare il dominio delle politiche economiche neoliberali, e anche la legittimazione di quelle politiche sul piano culturale e ideale. Gli slogan gli conosciamo bene: “ridurre la spesa pubblica”, “tagliare le imposte alle imprese e agli individui”, “occorre più flessibilità”, “meglio il lavoro temporaneo”, “il mercato deve guidare ogni immaginabile decisione, anche a livello locale”. Tutto questo ha avuto la meglio, anche nella cultura di una parte della sinistra. Conta poco che queste ricette siano sistematicamente sconfessate dalla realtà»
È interessante come il modello neoliberista abbia copiato da Gramsci la propria tendenza egemonica culturale. Lei lo ripete spesso. E poi spiega, e lo ha detto anche prima, come un pezzo di sinistra ne sia stata sedotta. Aggiungerei che alla sinistra hanno copiato anche l'internazionalismo, cioè la capacità di fare "gioco di squadra" a livello planetario. Come si fa a invertire la tendenza? Come si fa a imporre nuovamente una visione alternativa della società?
«È estremamente difficile. L’egemonia attuale è vincente sia sul piano della pratica, come lo vediamo ogni giorno, sia sul piano morale e culturale. L’austerità sta tagliando l’insieme delle condizioni di vita di milioni di persone, seminando recessione. E qui nasce un altro pericolo, cioè che politiche di questo genere fomentino l’estrema destra che urla contro la finanza, ma in modo assolutamente strumentale».
Il primo a parlare di “austerità” fu Enrico Berlinguer. Qualcuno, sempre a sinistra, ha ritirato fuori la cosa.
«Sì, ma erano altri tempi, altre situazioni, e quella parola usata dal segretario del Pci voleva dire un’altra cosa. Ora significa tagliare salari, posti di lavoro, spesa sociale e diritti. Allora era una critica al consumo. La crisi è nata anche per delle storture del modello produttivo. Non si può pensare di continuare a produrre sempre di più, all’infinito. Il progresso non consiste nell’avere cinque telefoni e tre automobili a famiglia, ma ha a che vedere con la qualità della vita, del tempo libero, del lavoro…»
Negli anni Settanta i giovani gridavano lo slogan "Lavorare meno, lavorare tutti". A un certo punto lei parla dei sindacati, e fa una critica a livello non solo europeo, ma mondiale: «Non si è sentito nessun sindacato, o gruppo di sindacati, europeo o americano, alzare la voce per dire che era inaudito che il salario orario minimo in Cina fosse di 75 centesimi di dollaro; e che è scandaloso che aziende europee e americane protestino perché quell’innalzamento da 65 a 75 centesimi non permette più loro di operare con profitto...». È sicuramente vero. Ma perché accade? Si è persa la solidarietà di classe? L'egoismo, l'interesse particolare, ha contagiato anche il sindacato? È questa l'ennesima vittoria del pensiero dominante?
«I sindacati hanno delle giustificazioni. La frammentazione delle attività produttive ha complicato l’attività sindacale. Un conto è avere un megafono per parlare a cinquemila operai tutti insieme, un conto è andarli a cercare in cinquanta fabbriche diverse con cento operai ciascuno. Però sì, a livello internazionale si è fatto poco. La necessità, adesso, è esportare diritti».
Il governo tecnico, anzi i governi tecnici in Europa, sono in realtà governi di destra. Lo chiarisce molto bene. Com'è possibile che il Pd lo sostenga e ne subisca il fascino anche per il futuro? Sembra un cerchio che si chiude. La dimostrazione che la sua analisi sul pensiero dominante è corretta.
«Concorrono diversi fattori. Un po’ perché la dottrina neoliberale, come dicevamo, ha fatto presa anche a sinistra. Poi c’è il timore di apparire agganciati a una storia di “vecchie ideologie”. C’è una questione di competenza: si è capito ben poco di perché è nata la crisi, sul come si è sviluppata, per colpa di chi o di cosa. E infine c’è un fattore di convenienza: l’Italia è in Europa, e in Europa si gioca con le regole del liberismo. Così qualcuno avrà pensato di far mettere la faccia ai “tecnici” rispetto alla richieste dolorose che Bruxelles richiedeva. Diciamo che può essere stato un grigio calcolo elettorale».
Lei cosa ne pensa dei No Debito? È possibile rifiutarsi di pagare?
«Il movimento non tiene conto dell’esistenza della Bce, che però non opera come una normale banca centrale: non può concedere prestiti, magari a basso tasso di interesse, agli stati membri o ad altre istituzioni. Questo perché il trattato di Maastricht lo proibisce. Abbiamo rinunciato alla sovranità monetaria entrando nella Ue, e quindi ci ritroviamo con una moneta straniera. Ecco, visto questo, non pagare il debito è impossibile. L’istanza è però moralmente valida, specie se si pensa alla dissennatezza del sistema finanziario, al fatto che i Paesi hanno speso 4,1 trilioni di euro per salvare le banche aumentando il proprio debito. Ma bisognerebbe chiedere subito una riforma del sistema finanziario. Sono stati fulminei a fare la riforma delle pensioni, a imporre diktat da occupazione militare alla Grecia, eppure da anni giace in un cassetto da anni una riforma di questo tipo. Per la quale dovremmo davvero batterci».
L’analisi del suo libro potrebbe diventare fondamentale per ridare fiato alla sinistra. Ho letto il "Manifesto per un soggetto politico nuovo", e mi sembra che il gruppo di intellettuali che l'ha redatto e firmato, tra cui lei, vada in quella direzione. Che reazioni ha avuto da parte dei partiti d’area?
«Ho l’impressione che siamo intorno a zero. Ma vorrei dire che non si tratta di buttare via i partiti, quanto di rinnovarli, saldando il ponte tra movimenti e organizzazioni politiche. Se i movimenti continuano a vedere i partiti come vecchie carrozze, e se i partiti vedono i movimenti come allegri ma inutili catalizzatori per le manifestazioni, il futuro non sarà certamente roseo».
Chiudo con una battuta. In chiusura lei scrive: «Con la caduta del socialismo reale è stato seppellito anche quel frammento di verità essenziale su cui era stata malaccortamente e colpevolmente innalzata la torreggiante megamacchina sociale che pretendeva di rappresentarlo. Quel frammento, che dopotutto sta alla base del movimento operaio da quando è cominciato, fin dall’inizio dell’Ottocento, era la ragione stessa della storia, o meglio la ragione che conferisce un senso alla storia. Era giusto che la torre cadesse, ma, cadendo, la torre ha sepolto tra le sue macerie anche quell’ultimo frammento che rappresentava la speranza di un rinnovamento della società intera. E questa è stata una perdita enorme». Lo sa che le daranno dello stalinista?
«È possibile e la cosa mi diverte anche. Perché cito dati ufficiali, molto spesso, del Congresso americano. Tutto questa significa che tra la realtà oggettiva delle cose e l’interpretazione che se ne dà c’è una distanza siderale. E ciò non depone certo a favore della maturità politica della nostra classe dirigente».
'rondò' del XX SECOLO
qualche COMMENTO 'firmato'
"Carissimi vi metto insieme a me per la 'mia riconversione'.
A piccoli passi, camminiamo con il decalogo straordinario, per sentieri umani.
Il nostro 'IO' entri nel 'NOI' !
Restiamo Umani. Ciao !"
don Andrea Gallo
"Concordo totalmente con il vostro decalogo.
Aggiungerei solo, tra i beni comuni, i diritti del lavoro, condizioni indispensabili per una relazionalità civile e serena, che è, appunto, il 'bene comune' per eccellenza.
Teniamoci in contatto. Buon lavoro !
Un cordiale e caro saluto."
Marco Revelli, cattedra di Scienza della politica del Piemonte Orientale, autore di 'Sinistra Destra: l'identità smarrita'
"Ho dato un primo sguardo al vostro decalogo e ci ho trovato degli spunti piuttosto interessanti."
Antonio Rosati, assessore al bilancio della Provincia di Roma
"Arguto !"
Michele Ainis, costituzionalista, autore di 'Stato matto. L'Italia che non funziona (e qualche proposta per rimetterla in moto)'
"In bocca al lupo per l'iniziativa !"
Cinzia Sciuto, redattrice di Micromega e blogger come Anima Bella
materiali _ 4: un FILM
http://www.youtube.com/watch?v=ZCrL0qGASLU
dalla recensione di Margherita Fratantonio - cinefreeonline:
Nell’incontro con il pubblico al cinema Anteo di Milano, il regista Robert Guédiguian cita Le ceneri di Gramsci e insieme a Pasolini usa le parole “cuore e coscienza”. Al cuore e alla coscienza, infatti, parla questo suo ultimo film. Ariane Ascaride, protagonista femminile e sua moglie nella vita, aggiunge che per farlo è necessario l’affiatamento dei trent’anni di lavoro insieme, insieme al marito regista e a Jean-Pierre Darrousin, marito in questo film, ma anche fratello o amante negli altri, dipende. Insieme anche a Gérard Meylan, Jacques Boudet e Pascale Roberts (amici di Guédiguian da sempre): una bella compagnia, davvero, che, a detta del regista, voleva fare un giorno la rivoluzione e poi si è dedicata al cinema.
Ma è la stessa materia della narrazione che parla al cuore e alla coscienza. La storia ricalca un racconto di Victor Hugo, Les pauvres gents, che parla di Jeanne e del marito pescatore Paul. Paul non fa ritorno dal mare e Jeanne teme giustamente per il futuro suo e dei suoi cinque figli. Non si chiede neanche un attimo, però, se adottare o no i due bambini della vicina di casa rimasti orfani. Pensa che Paul non approverà questa scelta. Invece no: tornato sano e salvo, anche per lui è doveroso prendersi cura di altri due bambini, nonostante la precarietà economica della famiglia.
Le nevi del Kilimangiaro racconta la stessa vicenda in chiave moderna e con un’ironia ammirevole, con quella giusta distanza che, dice sempre Guèdiguian, si apprende solo nel tempo e non si può insegnare, né ce la si può imporre. Così, tra una risata e l’altra, ed una bella carezza al cuore, la coppia Michel e Marie-Claire passa dal licenziamento di lui, ai festeggiamenti del trentesimo anniversario, da una rapina violenta subita in casa, allo sforzo di comprensione nei confronti dell’assalitore (un operaio che ha perso il posto insieme a Michel e ha due fratellini da accudire). Fino alla decisione, ciascuno per proprio conto, di occuparsi dei due bambini con il timore che l’altro non sia d’accordo e lo scioglimento finale in cui si scopre (deliziosamente) che la scelta separata dei due coniugi è la sintesi di tutta la loro vita insieme.
La storia è simmetrica a quella di Victor Hugo e anche qui c’è il mare: è girata a Marsiglia, a L’Estaque, lo stesso quartiere di Marie-Jo e i suoi due amori e altre precedenti pellicole del regista, che, ci tiene a precisare, fa film a Marsiglia e non su Marsiglia. Che sarebbero però molto diversi senza quei suoni, i gabbiani, le cicale, le luci, le navi che partono e tornano nel porto.
E come per la povera gente di Victor Hugo, qui un gesto di solidarietà diventa lezione morale: la guerra tra poveri, infatti, fa il gioco del potere economico, mentre la solidarietà è l’unica soluzione per allargare la consapevolezza, e per vivere dignitosamente, umanamente, la propria vita.
Non sono dello stesso parere i figli già grandi della coppia, né la sorella di Marie-Claire ed il marito (amico intimo di Michel), vittime anche loro della rapina e desiderosi di vendetta. Le loro convinzioni vengono presentate senza giudizi o pregiudizi, anzi con una sana comprensione riservata a tutti i personaggi. Ai figli trentenni, che hanno un orizzonte limitato per l’insicurezza del periodo storico e la perdita ideologica comune alla loro generazione; ai cognati che sono prigionieri della violenza subita e non sanno perdonare. Che invece i nostri protagonisti siano vincenti ce lo dicono la serenità dei loro sorrisi, l’amore più profondo nell’inclusione, la saggezza e l’apertura al mondo dei loro cinquant’anni.
La banalità del bene, non sempre scontata, qui e ancor meno nella vita, aggiunge luce a questo film già così luminoso. Fa pensare Le nevi del Kilimangiaro a un Ken Loach francese, meno disperato e più leggero. Ma simile per l’impegno, rivendicato in pieno dal regista, quando, tranquillamente, durante l’incontro, il suo discorso cade sulla parola comunismo e socialismo, e lui sorride.
un SOCIALISMO
Qualcuno ci ha chiesto se Riconversione è un altro modo per dire Socialismo. E, se così fosse, allora perché non dichiararlo.
E allora, se così fosse, perché non ammettere subito che anche Riconversione è l'ennesimo bel sogno a occhi aperti - certezza, questa, che deriverebbe dall'assunto seguente: "poiché l'uomo, i popoli e l'Umanità tutta sono intrinsecamente egoisti, il socialismo e derivati sono per sempre utopia".
Merita dunque spendere una paginetta per provare a capirci.
Il Socialismo come obiettivo storico (e lo stesso vale per una delle strategie elaborate e attuate per tentare di concretizzarlo, ossia il Comunismo) non è una 'profezia antropologica', diciamo così - del tipo "un giorno tutti gli uomini saranno buoni e generosi". Se così fosse, giusta sarebbe l'obiezione - anch'essa 'antropologica' - dell'assunto di cui sopra.
Ma così non è.
Nella Storia reale i termini Socialismo e Comunismo sono stati utilizzati per dire strategie e visioni un po' differenti tra loro.
(D'altronde, anche con 'Democrazia' diciamo cose un po' diverse tra loro: per esempio se parliamo di Pericle, o invece di Voltaire, o invece di Calamandrei, o invece di Obama. E - per inciso - anche sulla Democrazia, se la intendessimo come mero assunto antropologico, del tipo "la condizione in cui tutti partecipano davvero all'autogoverno della comunità di cui fanno parte, e in cui tutti sono messi in grado di formarsi opinioni politiche grazie alla pienezza e alla correttezza delle informazioni in merito all'opzioni di tale autogoverno", ebbene ci sarebbe eccome da marchiarla come utopia, purtroppo, e tornare all'assolutismo 'illuminato' almeno come riduzione del danno !)
Ma restiamo sul punto: il Socialismo, o meglio 'i socialismi'.
Ciò che accomuna tutte quelle visioni e strategie differenti è probabilmente la seguente 'doppia convinzione': primo, l'ipotesi che arrivi prima o poi un'epoca storica in cui una significativa porzione degli umani si 'umanizza' del tutto producendo la propria vita e organizzando la convivenza in base all'interesse generale, nel quale far rientrare anche il vantaggio personale (e quindi non in base al vantaggio personale, a scapito semmai del generale - dottrina questa a fondamento del Capitalismo, neoliberista soprattutto); e, secondo, la teoria secondo cui la classe dominata nell'epoca storica che viviamo in Occidente da qualche secolo (la classe lavoratrice, il proletariato, le masse coscienti di sé... scegliete voi il 'titolo' !) nell'atto di liberare se stessa dallo sfruttamento e dall'alienazione, libererà nuove energie complessive per un altro avanzamento dell'Umanità intera verso il realizzarsi dell'ipotesi di cui sopra (come a suo tempo fece la borghesia mercantile, liberandosi dal giogo feudale - dai Comuni fino alla Bastiglia e oltre).
Ciò ricordato - che è la base condivisa da tutti i socialismi e comunismi -, le strategie e le visioni poi si sono variamente succedute e perfino contrapposte, come conseguenza di tantissimi fattori ma sempre in funzione della concreta fase storica e delle condizioni oggettivamente poste dinanzi a chi si cimentava nell'impresa.
Marx Engels Bernstein Luxemburg Brandt Lenin Trotsky Bucharin Krushev Gorbaciov Mao HoChiMinh Nehru Nasser Lumumba Biko Boff Allende Castro Guevara Reed Marcuse AngelaDavis Sweezy Sidney&BeatriceWebb Russell Wilson Hobsbawn LouiseMichel Sorel CohnBendit Marchais Debord GarciaLorca MikaFeldman Pannekoek Palme Dubcek Havel Nagy Lukacs Tito Gramsci Togliatti Pertini Berlinguer Pasolini e quanti ne volete, sono tutti a loro modo socialisti - e diavolo se sono diversi !
Ecco. Andreozzi e Manusia sono altri due socialisti, infinitamente minori rispetto ai nominati.
E con Riconversione propongono un'altra idea di socialismo, o comunismo se preferite, figlia pure lei della fase storica e delle condizioni oggettive - del 'qui e ora', insomma.
E chi ha già aderito al progetto l'ha ben compreso, ovviamente.
Come vedete, non ci nascondiamo dietro a un dito. Crediamo così di aver risposto, no ?
Ma la nostra conclusione è un paio di domande - che ora tocca a noi.
E se anziché definire utopico un pensiero che comunque (tra 'azioni' e 'reazioni', onestamente lo si ammetta) ha cambiato la faccia del Mondo, pensassimo a un socialismo che invece di essere imposto a seguito della 'tradizionale accoppiata' (perdente, finora, peraltro) - rivoluzione comunista e dittatura del proletariato -, sia per la prima volta offerto sul 'mercato del libero consenso' come un'alternativa in competizione con le altre ? Se facessimo scegliere ai cittadini, ponendoli in grado di poterlo fare, se dare la precedenza all'interesse privato o invece al bene pubblico, così da orientare di conseguenza la propria collocazione lavorativa, il modello economico di individui famiglie collettività, la stessa propensione a coltivare valori duraturi, anziché profitti deperibili ?
Riconversione è questo.
Chissà che, ora che tanta storia è trascorsa e che qualche lezione l'abbiamo imparata, non sia davvero arrivato il momento per un ripensamento profondo, il momento epocale in cui i semplici dati di fatto che il Capitalismo è fallito (sebbene per nutrirsi abbia ingoiato un secolo intero di guerre mondiali e regionali, e di esaurimento dell'ecosistema), che tutto è cambiato e che l'indignazione deve trovare uno sbocco o sennò sarà il caos, ebbene possano convergere nella direzione che noi qui indichiamo.
Almeno come esperimento.
Il malato è grave, va provato qualcosa di efficace e forte - in tutta scienza e coscienza: un nuovo Umanesimo.
Paolo e Valentina
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da MICROMEGA 8/11 - 'A SINISTRA !'
[Occorre] una situazione economica che non faccia della lotta per la sopravvivenza il rovello quotidiano, visto che altrimenti tutte le condizioni precedenti [...] anche se realizzate, resterebbero vuote per chi è dominato dal pensiero di come arrivare a fine mese. Del resto già l'ottimo Jean-Jacques aveva spiegato che "la democrazia esige la diffusione di una mediocrità di ricchezze".
da 'La sinistra presa sul serio', Paolo Flores d'Arcais
Sheldon Wolin [dimostra come] le capacità democratiche della Costituzione americana siano state svuotate fin al punto di creare un "totalitarismo invertito": laddove lo Stato totalitario controlla le strutture capitalistiche, nel "totalitarismo invertito" le strutture capitalistiche controllano direttamente le strutture dello Stato.
In Europa Rosanvallon, uno dei padri della "terza via", ammette ormai l'impossibilità di controllo, da parte dello Stato, del potere finanziario.
[...]
Il primo problema si pone quando rileviamo che le Costituzioni liberal-democratiche sono fondate sulla proprietà privata mentre oggi la produzione avviene in maniera sempre più comune. L'innovazione e l'espansione delle forze produttive si basano sempre più sull'accesso libero e aperto ai beni comuni - conoscenza e informazione - mentre la chiusura del comune in mani private riduce e ostacola la produttività. L'accumulazione capitalistica è ormai organizzata in termini finanziari, il capitale sfrutta una ricchezza socialmente prodotta e la capta prevalentemente nella forma di rendite finanziarie.
Così, sempre più drammaticamente nella nostra epoca, la natura sociale della produzione confligge con la natura privata dell'accumulazione capitalistica.
E' questo il primo quadro di riferimento della politica costituente di una sinistra alternativa: essa si determina in relazione all'espressione del comune e prova a fissare in tal modo i criteri di una "produzione dell'uomo per l'uomo".
da 'La sinistra come potenza costituente', Michael Hardt e Antonio Negri
L'insieme delle scienze umane, dalla storia alla sociologia alla filosofia politica, ha riconosciuto che l'azione umana non ha per fine unico l'arricchimento [...], e che ovunque si osserva una volontà [...] di autogoverno. Lo si è visto nella lotta contro lo schiavismo e nelle insurrezioni anticapitalistiche, ma anche [...] nella volontà di acquisire conoscenze per avere maggiori e più fondamentali libertà di scelta.
[Nella presente] situazione è irrealistico dire che le catastrofi che hanno bruciato tanti miliardi di dollari [e di euro] non possono essere superate se non con la costituzione di nuovi attori, la cui principale ragione per agire sia quella di restituire a ciascuno il controllo sulle proprie decisioni e sul proprio futuro ?
E non è questa la definizione centrale della sinistra ?
da 'L'individuo al centro della nuova sinistra', Alain Touraine
Quella che noi viviamo è [...] la terza rivoluzione industriale. Nella prima c'era la macchina a vapore, nella seconda l'elettricità, nella terza c'è il digitale.
Le rivoluzioni industriali comportano allo stesso tempo la distruzione di certi valori e la creazione e la costruzione di nuovi valori, la trasformazione delle mode culturali, dei modi di consumo, dell'universo dell'informazione e provocano inoltre scosse geopolitiche.
Oggi viviamo in un momento di transizione simile, mutatis mutandis, a quello del dopoguerra o a quello a cavallo tra XIX e XX secolo. Ma ora siamo avvertiti: tutto ciò potrebbe sfociare in una catastrofe.
[...]
La radicalità è diventata una forma di realismo politico perché [adesso, per quanto detto,] occorre risolvere i problemi alla radice.
da 'Questione democratica e questione sociale', Edwy Plenel
Per gran parte del tempo non avanziamo affatto ma incespichiamo, ci trasciniamo a fatica, zoppichiamo visibilmente. Siamo i primi ad ammettere che ci saranno ostacoli, e deviazioni, e terribili inversioni di marcia: ma la cosa importante è continuare a camminare.
E' importante perché la giustizia e l'uguaglianza sono importanti, ogni giorno, per la vita delle persone reali, per me, per voi e per tutti gli altri.
[...]
A un tratto si rivelano le potenzialità umane, quando uomini e donne mettono in atto le doti che nemmeno sapevano di avere, e abbiamo la possibilità di gettare lo sguardo su ciò che è possibile... al di là di quello che è possibile in questo momento. Ed è questo che ci spinge a continuare.
Questa è l'unica, fondamentale ragione della sinistra.
da 'La sinistra nel qui-ed-ora', Michael Walzer
In un'epoca in cui le identità individuali si costruiscono più a partire dai livelli di consumo che dal lavoro, è proprio dalla messa in discussione del modello consumistico che bisogna ripartire: il rifiuto della logica lavoro-guadagno-consumoè alla base di molti di questi movimenti spesso spontanei, non particolarmente organizzati che trovano nella Rete [...] uno strumento per concretizzarsi.
Non è un caso che il risveglio civile e democratico a cui abbiamo assistito negli scorsi mesi ha molto a che fare con quei "beni comuni" - l'acqua, la gestione del territorio, l'ambiente - che sono centrali nella definizione della qualità della vita di ciascuno di noi.
da 'Imparare dalle "anime belle"', Cinzia Sciuto
Per dirla in modo grossolano: è di sinistra chi si batte per mantenere e salvaguardare il servizio pubblico; è di destra chi ritiene sia meglio privatizzare tutto e privilegiare il liberismo selvaggio all'americana (in salsa reaganiana).
[...]
Si tratta del diritto dei popoli a vivere con dignità. E per dignità intendo rispetto dei diritti, accesso al mercato del lavoro, lotta alla corruzione e a tutte le mafie che la praticano, garanzia del diritto di espressione, del diritto di protesta, del diritto di sciopero eccetera... Si tratta di fatto di imparare a vivere insieme.
da 'Destra, sinistra: concetti superati ?', Tahar Ben Jelloun
[...] "Le ineguaglianze economiche e sociali" devono essere "collegate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa eguaglianza di opportunità", ma devono essere concepite "per il più grande beneficio dei meno avvantaggiati" [da John Rawls, 'Una teoria sulla giustizia'].
Sono affermazioni che oggi, per il loro estremismo, potrebbero far sobbalzare sulla sedia.
[...]
A parità di disuguaglianza - calcolata ad esempio con il coefficiente Gini - non è forse migliore una società nella quale sia il merito a determinare la differente distribuzione della ricchezza rispetto a una dove gli assetti sono sostanzialmente modellati sulla "fortuna della nascita" ?
da 'In difesa della faziosità', Emilio Carnevali
Che una collettività da una parte si formi e si dia norme da sé, e dall'altra sia tendenzialmente estendibile all'Umanità intera: ecco forse il requisito minimo di ciò che chiamiamo sinistra. Questa condizione è in fondo quella formulata da Marx: l'uomo è l'artefice della propria esistenza sociale.
[...]
Il motivo per cui ancora oggi un criterio assoluto separa la destra dalla sinistra: quello della giustizia, in quanto la destra pensa quest'ultima come in qualche modo data - senza dubbio non perfetta, ma disponibile e perfettibile. [...] Ma esiste un'altra possibilità [...], e forse più di una possibilità: un'esigenza; e cioè che la gustizia consista nel permettere a tutti e a ciascuno (a tutti per ciascuno, e viceversa) d'essere o di divenire effettivamente artefici della propria esistenza. [...] L'uomo non trae origine da nessun elemnto dato (non più della totalità dell'universo).
[...]
"L'umanesimo non pone l'humanitas dell'uomo a un livello abbastanza elevato", scrive Heidegger, e Levinas chiede un "umanesimo dell'altro uomo". Deleuze parlava invece di "divenire donna".
[...]
La sinistra è veramente ciò che è soltanto qualndo dice: noi siamo qui, il mondo è qui, non esiste altro dato che questa spazialità del "noi siamo".
da 'Uscire dallo sgomento', Jean-Luc Nancy
Non possiamo definire il nostro tempo come un'epoca di crisi della politica. Questo è il tempo della "grande politica". [...] Sono in corso sommovimenti profondi capaci di trasformare radiclamente i fondamenti della coesistenza tra gli uomini.
[...]
Dobbiamo essere in grado di elaborare rapidamente [...] un'alternativa di modello di sviluppo, di stili di vita, di relazione - anche se mi rendo conto che ci vuole uno sforzo intellettuale e morale straordinario.
da 'Baciare il rospo ?', Marco Revelli
Nei primi tre mesi [...] era giusto che il movimento fosse tutto orizzontale, a misura di internet. [...] E' stato un grande successo: come si può criticare un movimento capace di avviare un nuovo dibattito publico, nazionale e internazionale ?
La seconda casa sarà il risultato di quel brainstorming collettivo [...]: ne uscirà un programma positivo, con obiettivi di cambiamento politico e sociale.
da 'Occupy Wall Street diventa un partito ?', Kalle Lasn
Prima della crisi tanti spagnoli, soprattutto tra i giovani, si vantavano di non essere politicizzati, di disprezzare anzi la politica. [...] Tanti giovani e parecchi anziani non vedevano [...] ragioni impellenti per interessarsi di politica. Anzi, la consideravano un passatempo noioso, elitario, quasi osceno. [...] In molti erano favorevoli all'allegro indebitamento con le banche per aumetare la capacità di consumo, la speculazione immobiliare era all'ordine del giorno [...] mentre nelle località turistiche i più giovani lasciavano gli studi per andare a lavorare nei locali frequentati dagli stranieri, dove le possibilità di guadagno erano buone.
E tali circostanze [...] non suscitavano all'epoca l'indignazione di nessuno o quasi.
L'indignazione non basta.
Come diceva Spinoza, l'importante non è odiare o applaudire, ridere o piangere, ma capire.
Più Spinoza e meno Hessel, per favore.
da 'Le contraddizioni degli indignados', Fernando Savater
Viviamo in un periodo di vuoto [...] che Antonio Gramsci definiva "ad interim", un periodo impossibile da sostenere a lungo, durante il quale i vecchi modi con cui facevamo andare avanti le cose non funzionano più.
[...]
"La gente che protesta sembra preoccupata di tutto, dall'avidità delle corporation a Obama, dal capitalismo ai costi del college. Sembra una causa senza una causa." [dall'Huffington Post] Ma una proposta deve avere delle richieste specifiche e realistiche, Ci deve essere un problema chiaro, in modo tale che si possa individuare una soluzione praticabile.
Ciò che è accaduto nell'ultimo mezzo secolo o giù di lì, è che il capitalismo ha imparato [...] questa nuova arte - resa possibile dal passaggio dalla "società dei produttori" alla "società dei consumatori", e del passaggio dall'incontro tra capitale e lavoro a quello tra merce e cliente [...] - che consiste soprattutto nella progressiva mercificazione delle funzioni della vita [...] e nella sostituzione come volano dell'economia, votata al profitto, del desiderio al posto del bisogno.
[...] Uno degli effetti è l'enorme pressione esercitata sulla sostenibilità del pianeta.
[Ma nel libro del 2005 di Elinor Ostrom "Governare i beni collettivi", si legge] che la convinzione strenuamente diffusa che la gente sia incline per natura ad agire secondo il profitto di breve termine e seguire il principio "ognun per sé e dio per tutti", non riflette lo stato delle cose.
[...]
Come nota Eugene Linden [...]: "Il genio è uscito dalla lampada: la classe media arriva sempre più alla conclusione che il sistema non è corretto."
da 'Lo spettro dell'indignazione', Zygmunt Bauman
Siamo nel mezzo di una crisi sistemica del capitalismo, dagli esiti imprevedibili per i capitalisti stessi e per chiunque. [...] E' nello spazio aperto da questa contraddizione [...] che i movimenti dovrebbero provare a sperimentare forme innovative, e un nuovo modo di pensare la rivoluzione (nel senso del cambiamento radicale della società). - Casarini
Difendere i beni comuni vuol dire fare esperienza e pratica di un'azione politica insieme ad altri, riprendersi questa dimensione fondamentale della vita che si era persa a favore di una grande solitudine individuale e sociale. [...] C'è dentro questi temi un senso ultimo e irrinunciabile di sé, qualcosa che ha a vedere con le radici, il corpo, il futuro, le figlie e i figli, il mondo, il limite. - Comencini
da 'Movimenti e "governo tecnico"', Luca Casarini e Francesca Comencini
[In "Il valore dell'eresia", don Mazzi scriveva:]
"Le formiche tendono inizialmente a seguire in fila indiana il percorso scelto dalla formica che per prima ha scoperto il cibo. I feromoni rilasciati dall'esploratrice sul percorso impediscono di deviare.
Ma a un certo punto si crea un ingorgo che impedisce di giungere al cibo. Il principio istintivo della sequela acritica mette a rischio la sopravvivenza del formicaio.
Scatta un altro principio, anch'esso iscritto nell'istinto: la creatività, la disobbedienza, la ribellione. Una o più formiche si ribellano alla legge dei feromoni. E prendono un'altra strada.
Il cibo è di nuovo assicurato, il formicaio è salvo."
da 'Enzo Mazzi: il Vangelo preso sul serio', Valerio Gigante
ALBUM 'di famiglia'
Trenta mesi vissuti intensamente, videostory in due parti:
http://www.youtube.com/watch?v=7tAhb8LQnNk
http://www.youtube.com/watch?v=Q8ijY2pnczw
materiali _ 6
qua e là sulla RETE...
Sono solo un cittadino normale che ha deciso di lasciarsi coinvolgere.
La democrazia non è uno sport da spettatori. Se tutti stanno a guardare e nessuno partecipa, non funziona più.
Michael MOORE
L'intera costruzione dell'Unione Europea si trova sull'orlo di un baratro, senza che la sua governance si mostri disposta o capace di imporre una svolta: meno che mai in termini di sostenibilità o di equità.
E' da chiedersi se tutto ciò sia solo frutto di politiche sbagliate, restrittive invece che espansive, cioè dell'applicazione di una cattiva teoria, come sembrano sostenere molti economisti di matrice keynesiana; o se non emerga invece un'intrinseca insostenibilità dell'economia-mondo così come si è andata configurando nel corso degli ultimi decenni.
Si deve aspettare, come in Argentina, che i padroni abbandonino impianti e lavoratori per poi ricominciare faticosamente a produrre nelle fabbriche requisite quello che si sarebbe potuto continuare a fare prevenendone la chiusura? Ma è nei servizi pubblici locali (servizio idrico, rifiuti, energia, mobilità, mense e mercati, nidi e assistenza) che vanno innescate già ora le prime forme di riconversione gestionale.
Anche e soprattutto nella vita quotidiana è possibile avere di più con meno: il paniere dei nostri consumi è pieno di sprechi, dal cibo che scartiamo a molti imballaggi, dai gadget agli stili di vita imposti; ma una conversione in questo campo non può essere affidata solo alle scelte individuali; deve essere oggetto di progetti di autoeducazione collettiva e di accordi diretti tra produzione e consumo in cui i governi locali possono giocare un ruolo decisivo.
Guido VIALE
La comune teoria del libero mercato sostiene che ciascuno può contribuire nel modo migliore possibile al bene della società e del pianeta solo se si preoccupa esclusivamente di cercare il massimo vantaggio per sé. [...] Io invece penso che [...] la teoria corrente del libero mercato non funziona nella pratica perché si basa su un concetto inadeguato e troppo riduttivo della natura umana. [Molti lo condividono; però,] per citare Oscar Wilde, si tratta di gente che conosce il prezzo di tutte le cose, ma il valore di nessuna.
Muhammad YUNUS
Quando troppo denaro è concentrato al vertice della società, la spesa dello statunitense medio è necessariamente ridotta, o quanto meno lo sarà in assenza di qualche stimolo artificiale. Il trasferimento del denaro dal basso verso l’alto riduce i consumi perché i percettori dei redditi più elevati consumano, in percentuale del proprio reddito, molto meno delle persone a basso reddito.
Nella nostra immaginazione non sembra sempre essere così, perché le spese dei ricchi sono così cospicue. Si guardino semplicemente le foto a colori delle ultime pagine dell’inserto del fine settimana del Wall Street Journal dedicato alle case in vendita. Ma il fenomeno quadra quando si usa un po’ di matematica. Si consideri una persona come Mitt Romney, il cui reddito è stato di 21,7 milioni di dollari nel 2010. Anche se Romney scegliesse di vivere una vita più lussuosa, spenderebbe solo una frazione di tale somma in un anno normale per sostenere sé stesso e la propria moglie nelle loro molte case. Ma si prenda la stessa quantità di denaro e la si divida tra 500 persone – diciamo sotto forma di posti lavoro con un salario di 43.400 dollari ciascuno – e si scoprirà che quasi tutto quel denaro finisce speso.
Il rapporto è semplice e a prova di bomba: quando una quantità maggiore di denaro si concentra al vertice, la domanda aggregata entra in declino. Se non accade qualcos’altro, sotto forma di qualche intervento, la domanda totale dell’economia sarà inferiore a quanto l’economia è in grado di fornire e ciò significa che ci sarà una crescente disoccupazione, il che ridurrà ulteriormente la domanda. Negli anni ’90 quel “qualcos’altro” è stato la bolla tecnologica. Nel primo decennio del ventunesimo secolo è stato la bolla immobiliare.
Oggi, l’unico rimedio, in mezzo a una profonda recessione, è la spesa governativa, il che è esattamente ciò che quelli al vertice sperano ora di limitare.
Joseph STIGLITZ
In America Latina e in Africa negli anni Ottanta, fu una crisi di indebitamento a obbligare i Paesi alla scelta tra 'privatizzazione o morte', per usare le parole di un funzionario del Fmi. Messi in ginocchio dall’iperinflazione, e solitamente troppo indebitati per opporsi alle pretese che accompagnavano i prestiti stranieri, i governi accettarono un trattamento shock con la promessa che ciò li avrebbe salvati da un disastro ben peggiore. In Asia, fu la crisi finanziaria del 1997-98 – paragonabile, per gli effetti devastanti, alla Grande Depressione – a trasformare, aprendo a forza i loro mercati, le cosiddette Tigri asiatiche in quella che il 'New York Times' ha definito 'la svendita per cessata attività più grande del mondo'. Molti di questi Paesi erano democrazie, ma le radicali trasformazioni economiche non sono state imposte democraticamente. Al contrario: come Friedman aveva ben compreso, l’atmosfera generale di crisi forniva il necessario pretesto per ignorare i desideri espressi dagli elettori e consegnare il Paese a economisti 'tecnocrati'.
Naomi KLEIN
La salvezza cristiana include una "liberazione integrale" dell'uomo e raggruppa per questo anche la liberazione economica, politica, sociale e ideologica, come visibili segni della dignità umana.
Maria non si è comportata passivamente dinnanzi all'iniziativa di Dio: ella ha agito dentro la specificità propria della donna; ed è qui che Maria guadagna una rilevanza universale.
Leonardo BOFF
Che cos'è che ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall'ansia economica di esserlo? Che cos'è che ha trasformato le 'masse' dei giovani in 'masse' di criminaloidi? L'ho detto e ripetuto ormai decine di volte: una 'seconda' rivoluzione industriale che in realtà in Italia è la 'prima': il consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo 'reale', trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c'è più scelta possibile tra male e bene. Donde l'ambiguità che caratterizza i criminali: e la loro ferocia, prodotta dall'assoluta mancanza di ogni tradizionale conflitto interiore. Non c'è stata in loro scelta tra male e bene: ma una scelta tuttavia c'è stata: la scelta dell'impietrimento, della mancanza di ogni pietà.
Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sua necessità di carattere economico, che sfugge alle logiche razionali. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. È un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti. Sono caduti dei valori, e sono stati sostituiti con altri valori. Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra industria italiana pluri-nazionale e anche quella nazionale degli industrialotti, voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un nuovo modello umano.
Pier Paolo PASOLINI
Distruggete tutto ciò in cui avete creduto finora, buttate a mare tutto ciò che fino ad ieri rappresentava il basamento della vostra vita: vi sembrava granito e non era che pietra pomice, vi sembrava eterno ed è invece friabile e inutile.
Io sono consapevole, del tutto consapevole di far parte del sistema e cerco di cavarne il meglio possibile usando la libertà di cui dispongo per dare il mio contributo ad un miglioramento ed avanzamento dell'attuale situazione.
Herbert MARCUSE
Non credo che siamo stretti parenti, ma se Lei è capace di tremare d'indignazione ogni qualvolta si commetta un'ingiustizia nel mondo, siamo compagni, il che è più importante.
Che GUEVARA
Da una coscienza autentica dell'oppressione nasce la necessità, chiaramente percepita dal popolo, d'abolire l'oppressione. Lo schiavo che cerca di avere chiara questa percezione scopre realmente il senso della libertà. Egli sa cosa significhi la scomparsa del rapporto schiavo-padrone. In questo senso la sua conoscenza della libertà va più lontano di quella del padrone. Perché il padrone si "sente" libero, e si sente libero in virtù del suo potere sulla vita degli altri. Egli è libero a spese della libertà di un altro. Lo schiavo vede la libertà del padrone sotto la sua vera luce. Egli comprende che la libertà del padrone è una libertà astratta che impedisce ad altri esseri di vivere normalmente. Lo schiavo comprende che si tratta di una falsa concezione di
libertà; sotto questo aspetto egli vede più chiaramente del suo padrone: si rende conto che il padrone è lo schiavo dei suoi errori, dei suoi misfatti, delle sue violenze, della sua volontà d'oppressione
Angela DAVIS
L'irrazionalità della società borghese nella sua fase più tarda è restia a farsi comprendere: erano ancora bei tempi quelli in cui si poteva scrivere una critica dell'economia di questa società, cogliendola pienamente nella ratio a lei propria. Perché la società ha ormai gettata questa ratio tra i ferri vecchi sostituendola virtualmente con una disponibilità immediata su ogni cosa.
Theodor Wiesengrund ADORNO
La non-violenza non prende il potere, non lo desidera neanche. È il potere che va verso di lei.
Ci sono tanta superstizione e ipocrisia in giro che si ha paura anche di agire rettamente. Ma se si dà spazio alla paura, si finisce col dovere reprimere anche la verità. La regola d'oro è di agire senza paura in ciò che si ritiene giusto.
Mahatma GANDHI
Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza.
Il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita stessa.
È davvero meravigliosa la lotta che l'umanità combatte da tempo immemorabile; lotta incessante, con cui essa tenta di strappare e lacerare tutti i vincoli che la libidine di dominio di un solo, di una classe, o anche di un intero popolo, tentano di imporle. È questa una epopea che ha avuto innumerevoli eroi ed è stata scritta dagli storici di tutto il mondo. L'uomo, che ad un certo tempo si sente forte, con la coscienza della propria responsabilità e del proprio valore, non vuole che alcun altro gli imponga la sua volontà e pretenda di controllare le sue azioni e il suo pensiero.
Antonio GRAMSCI
Il capitalismo non può sopravvivere senza le economie “non capitalistiche”: esso è in grado di progredire, seguendo i propri principi, fintanto che vi sono “terre vergini” aperte all’espansione ed allo sfruttamento; ma non appena le conquista per poterle sfruttare, le priva della loro verginità precapitalistica e così facendo esaurisce le fonti del proprio nutrimento.
Rosa LUXEMBURG
L'unico scopo è la libertà.
Simòn BOLIVAR
lo 'SCANDALO'
Questo scandalo fu, per esempio, Gesù Cristo. Che gli uomini siano tutti uguali, è la sua bestemmia contro l'ordine costituito multimillenario: la sanzione fu la croce – la sanzione contro di lui. Ma la sanzione contro la bestemmia fu il depotenziamento, il travisamento: i pochissimi uomini-uomo dissero (e dicono) agli sterminati uomini-strumento che gli uomini saranno tutti uguali nel non-luogo dell'eternità, anziché qui e ora – dove tutto deve restare com'è, al netto di qualche procedura consolatoria.
Che poi il problema lo sollevasse un ebreo, come Gesù Cristo, è logico: già nel millennio precedente, gli ebrei si erano distinti rispetto alla norma (che sanciva da una parte l'esigua minoranza degli uomini-uomo nella cittadella dei privilegi assoluti, dall'altra l'enorme maggioranza degli uomini-strumento nel deserto dello sfruttamento assoluto). Avevano immaginato che ci fosse un dio – e che loro fossero la sua gente – rispetto al quale valesse non quell’abietta norma non scritta, bensì una serie di regole scritte per ridurre al minimo la differenza tra uomini-uomo e uomini-strumento: almeno tra loro, ‘popolo eletto’, e almeno in un luogo determinato, ‘la terra promessa’. (D'accordo, oltre a queste regole basiche e rivoluzionarie poi si erano inventati un sacco di altre prescrizioni varie – rituali, quasi superstiziose, e di autodifesa. Ma un popolo lo tieni insieme solo così.)
Che poi questo scandalo degli ebrei (degli ebrei come fatto nuovo nell'autocoscienza dell'Umanità; non come Stato moderno di Israele, che viola i diritti umani in Palestina, né come singoli uomini-uomo di confessione
israelita, insediatissimi all'interno delle mura del privilegio: altri contesti di analisi) – degli ebrei che rifiutano tendenzialmente lo schiavismo degli uomini-uomo sugli uomini-strumento, gliel’hanno fatto pagare per tutta la loro storia: dalla diaspora all’olocausto.
Ma tornando al punto – e per finire: una volta pronunciata la bestemmia (‘noi non siamo diversi da voi’), e riscontrata ancora una volta la nessunissima disponibilità degli uomini-uomo ad abbattere da dentro le mura della cittadella dei loro privilegi per condividere il destino umano-e-basta anche con gli uomini-strumento (d’altronde – voi che leggete, condividereste il vostro destino con dei cani, dei somari, delle sementi, degli utensili, delle pietre?), il problema è diventato: come abbatterle da fuori, per arrivare a un nuovo ordine umano-e-basta.
E la risposta ad oggi più circostanziata a questo problema, secondo me, è stata data da Karl Marx e seguaci.
Un indizio indiretto mi viene da questo: la spietatezza con cui gli uomini-uomo hanno difeso e difendono i propri privilegi dall'insidia teorica e pratica che gli arriva dal socialismo, somiglia troppo alle sanzioni inflitte a suo tempo allo scandalo dell'egualitarismo di Gesù Cristo (la croce, il travisamento) e, nel tempo, allo scandalo del non-schiavismo degli ebrei (la diaspora, l’olocausto).
Ma insomma la cittadella è ancora in piedi, e la battaglia è in pieno svolgimento – anche se cambia forma, armi e fortune: da un lustro all’altro e da una latitudine all’altra.
C’è solo da capire da che parte si sta, delle mura.
E poi avere il cuore, la mente e la voce per combattere.
paolo
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da NO! il Libro del DISSENSO,
aa.vv. - Fandango Libri 2011
Quando Adamo zappava ed Eva filava,
dov'era allora il gentiluomo?
John BALL, 1381
Voi mi uccidete adesso, ma tornerò, e allora sarò milioni.
Tupac KATARI, 1781
Il solo modo per fermare questo male è che tutti i pellerossa si uniscano e rivendichino parità di diritti su queste terre. Così era in principio, così dovrebbe essere ancor oggi: la terra non è mai stata divisa e tutti potevano usufruirne. Ogni tribù poteva occupare una terra disabitata e farne la propria dimora. E se questi si spostavano, un'altra tribù poteva andare avivere su quella terra. Nessuno di noi ha il diritto di vendere la terra, nemmeno a un'altra delle nostre tribù, e certamente non agli stranieri che vogliono tutto e che non si accontenteranno.
Vendere un paese! Perché allora non vendere anche l'aria, le nuvole, i grandi mari, oltre alla terra?
Il Grande Spirito Buono non li ha forse creati per i suoi figli?
TECUMSEH, 1811
Sì, signori, è la guerra tra i ricchi e i poveri: i ricchi l'hanno voluta così, infatti, sono gli aggressori. Soltanto essi ritengono azione nefasta il fatto che i poveri oppongano resistenza; direbbero volentieri, parlando del popolo: "Questo animale è tanto feroce da difendersi, quando viene attaccato" [...] Non è la prima volta che i carnefici si danno arie da vittima.
[...]
Avete requisito i fucili di luglio. Sì; ma i proiettili sono partiti. Ogni singola pallottola degli operai parigini sta facendo il giro del mondo: colpisce senza tregua, colpirà finché non vi sarà più in piedi un sol nemico della libertà e dellla felicità del popolo.
Louis-Auguste BLANQUI, 1832
Io posso comprendere appieno un uomo che accetta le leggi che proteggono la proprietà privata e ne ammettono l'accumulazione, fintanto ch'egli può in simili condizioni attuare alcune forme di vita bella e intellettuale.
Ma mi risulta quasi inconcepibile da capire come un uomo la cui vita è rovinata e resa spaventosa da tali leggi possa proprio consentire alla loro perpetuazione.
Oscar WILDE, 1891
E' prerogativa dell'arte proporre all'uomo il vero ideale di una vita piena e razionale, una vita in cui la percezione e creazione della bellezza, e cioè il godimento del più autentico piacere, saranno considerate necessarie all'uomo quanto il suo pane quotidiano.
William MORRIS, 1894
Ciò che ora accade, è un massacro in massa quale mai si è visto, che sempre più riduce la popolazione lavoratrice adulta di tutti i principali paesi civili a donne, vecchi e invalidi: un salasso, per il quale il movimento operaio europeo minaccia di morire dissanguato.
E' un attentato non alla civiltà borghese del passato, ma a quella socialista dell'avvenire, un colpo mortale a quella forza che porta nel priprio grembo l'avvenire dell'umanità e che sola può portare in salvo, in una società migliore, i preziosi tesori del passato.
In questo il capitalismo rivela il proprio volto di morte, in questo tradisce che il suo diritto storico all'esistenza è esaurito, il suo dominio non ulteriormente compatibile con il progresso dell'umanità.
Rosa LUXEMBURG, 1914
Un milione di operai che lavorano per quattro soldi
Fareste meglio a dare loro quello che è davvero roba loro
Quando arriveremo in città
Vi spazzeremo via
Il potere alla gente, subito.
John LENNON, 1971
Sei di noi sono scomparsi
Come perduti nello spazio interstellare.
Uno è morto, l'altro è stato picchiato come mai avrei creduto
Che si potesse picchiare un essere umano.
Gli altri quattro volevano porre fine all'orrore:
Uno saltando nel nulla,
Un altro sbattendo la testa contro un muro,
Ma tutti avevano gli occhi sbarrati della morte.
Che orrori partorisce il volto del fascismo!
Victor JARA, 1973
Bisogna darne atto all'America. E' stata capace di manipolare con perfetto cinismo il potere mondiale indossando i panni di una forza che lottava per il bene di tutti.
Un perfetto capolavoro di ipnosi, un numero brillante e perfino spiritoso. Anzi, sentite qua: gli Stati Uniti sono senza ombra di dubbio il più grande show itinerante che abbia mai aperto i battenti.
Harold PINTER, 2005
una CANZONE
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da COME CAMBIARE IL MONDO.
PERCHE' RISCOPRIRE L'EREDITA' DEL MARXISMO,
Eric Hobsbawn (Rizzoli, 2011)
George Soros mi domandò che cosa ne pensassi di Marx. Ben consapevole della distanza fra le nostre due posizioni, volendo evitare un contraddittorio, diedi una risposta ambigua. ‘Quell’uomo’ disse Soros ‘ha scoperto centocinquant’anni fa qualcosa sul capitalismo di cui dobbiamo tenere conto.’ [...] Anche Attali ritiene che Karl Marx abbia ancora parecchio da dire a chi vorrebbe una società migliore e diversa da quella odierna. [...] Nell’ottobre del 2008, dopo che il Financial Times ebbe pubblicato in prima pagina un articolo dal titolo ‘Capitalism in convulsion’, non si poteva dubitare oltre che Marx fosse rientrato in scena. Ed è improbabile che possa uscirne, proprio ora che il capitalismo globale sta attraversando la crisi più grave dall’inizio degli Anni Trenta. D’altro canto, il Marx del XXI secolo sarà certamente assai diverso da quello del XX.
[...]
La socialdemocrazia modificò [...] il marxismo, o posponendo la realizzazione di un’economia socialista, oppure, più positivamente, escogitando forme differenti di economia mista. [...] Il pensiero più interessante giunse da studiosi non marxisti come i fabiani Sidney e Beatrice Webb, i quali immaginarono una graduale trasformazione del capitalismo in socialismo attraverso una serie di riforme irreversibili e cumulative.
[...]
Mao sognava una società costantemente rinnovata da una rivoluzione permanente; il capitalismo ha realizzato questo progetto per mezzo del cambiamento storico attraverso ciò che Schumpeter (seguendo Marx) ha definito perenne ‘distruzione creativa’. Marx credeva che questo processo avrebbe infine condotto [...] a un’economia enormemente concentrata – il che è esattamente quello che ha detto Attali quando, in una rcente intervista, ha detto che il numero di persone che ne governano le sorti è nell’ordine di mille o al massimo diecimila.
[...]
Rifiutandosi di speculare sui dettagli della futura società socialista, [Marx ed Engels] lasciarono ai loro successori poco più che qualche principio generale con i quali affrontarla. Non fornirono così alcuna guida concreta di uso pratico su problemi come la natura della socializzazione dell’economia, o le misure necessarie per pianificarla. [...] Quello che Marx ed Engels respinsero insistentemente, in modo militante e polemico, era l’approccio tradizionale della sinistra rivoluzionaria di allora [...], un approccio che non ha ancora perduto le sue attrattive. [...] Respingevano anche la tendenza a costruire modelli operativi definiti, per esempio il prescrivere la forma esatta del cambiamento rivoluzionario dichiarando illegittimi tutti gli altri, il respingere l’azione politica o il basarsi esclusivamente su di essa, ecc. Rifiutarono il volontarismo astorico. [...] Posero invece fermamente l’azione del movimento nel contesto dello sviluppo storico. La forma del futuro e i compiti dell’azione potevano essere percepiti soltanto scoprendo il processo di sviluppo sociale che avrebbe condotto a essi, e questa stessa scoperta diventava possibile soltanto a un certo stadio dello sviluppo.
[...]
La base oggettiva dell’umanesimo di Marx [...] è la sua analisi dell’uomo come animale sociale. L’uomo, o meglio gli uomini, svolgono un lavoro, riproducono cioè la propria esistenza nella pratica quotidiana del respirare, di cercare cibo, riapro, amore, ecc. Lo fanno operando nella natura, attingendo da essa (e alla fine, consciamente, mutandola) a questo scopo. [...] Il progresso è naturalmente osservabile nella crescente emancipazione dell’uomo dalla natura e nel suo crescente controllo su di essa. [...] Ma allo stesso tempo, tale processo di emancipazione dell’uomo dalle sue condizioni naturali originarie di produzione è un processo di individualizzazione umana. [...] Questo implica automaticamente una trasformazione nelle relazioni dell’individuo insieme a ciò che originariamente era la comunità nella quale operava. La comunità precedente è stata trasmutata, nel caso estremo del capitalismo, nel meccanismo sociale disumanizzato che, mentre rende effettivamente possibile l’individualizzazione, è esterno e ostile all’individuo. Eppure, questo è un processo che offre possibilità immense all’umanità.
[...]
In quest’evoluzione Marx distingue quattro stadi analitici, seppure non cronologici. Il primo è la proprietà comunitaria diretta [degli evi pre-storici]. Il secondo è la proprietà comunitaria che continua come sostrato di ciò che è già un sistema ‘antagonistico’, cioè di classe [: schiavismo antico o barbarico, e servitù]. Il terzo stadio ha origine [...] non tanto nel feudalesimo, quanto nella diffusione della manifattura artigiana, in cui l’artigiano indipendente (organizzato in corporazioni) già rappresenta una forma assai più individuale di controllo sui mezzi di produzione, e anzi sul consumo, che gli permette di vivere mentre produce. [...] Il quarto stadio è quello in cui sorge il proletariato, vale a dire quello in cui lo sfruttamento non è più condotto nella cruda forma dell’appropriazione di uomini, come schiavi e servi, ma nell’appropriazione di ‘lavoro’. ‘Per il capitale, condizione della produzione non è il lavoratore ma solo il lavoro: se può farlo compiere da macchine, o addirittura dall’acqua, aria, tant mieux.’
[...]
La politica è per Gramsci il nucleo non soltanto della strategia per realizzare il socialismo, bensì del socialismo stesso. [...] La politica è in parte implicita nel concetto stesso di prassi: e cioè il fatto che comprendere il mondo e cambiarlo siano la stessa cosa. [...] Una classe dominante non fa affidamento solo sul potere e l’autorità coercitivi, ma sul consenso che deriva dall’egemonia, ciò che Gramsci chiama ‘direzione intellettuale e morale’ esercitata dal gruppo dominante e ‘l’indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante’. [...] Il problema basilare della rivoluzione è come rendere capace di egemonia una classe fino a questo momento subalterna, fare in modo che creda in se stessa come classe potenzialmente dominante e risultare credibile in quanto tale ad altre classi. [...] In assenza di una forza egemone anche le rivoluzioni possono sfaldarsi, in quanto devono ancora conquistare il sostegno e il consenso sufficienti.
[...]
Alla fine [...] al capitalismo è stato ricordato che il suo futuro è messo in discussione non dalla minaccia di una rivoluzione sociale, ma dalla natura stessa della sua indisturbata attività globale, per cui Karl Marx si è dimostrato una guida assai più acuta di quanti hanno confidato nelle scelte razionali e nei meccanismi autocorrettivi del libero mercato.
un piccolo ESEMPIO
Mi riferisco al punto Due del ‘decalogo’ (in fondo a questa stessa pagina-sito, non manca molto) per evidenziarne in particolare un aspetto:
‘Il consumo per il consumo (di merci) crea: rifiuti non più smaltibili [...] ; la produzione per la produzione (di merci) crea: esaurimento delle risorse naturali.’
Ora per poter risolvere problemi epocali come questi, sarebbe sufficiente un miglior uso delle risorse, e più semplicemente delle cose.
Mi spiego meglio: già io (classe ‘74) faccio parte di una generazione per cui l'idea di ‘riparare’ una cosa è sintomo di una ossessione o almeno indice di ‘tirchieria’; per cui si fa prima e costa meno (meglio: sembra che costi meno) ricomprare piuttosto che ‘rimettere a posto’; e invece...
Invece, quanto sarebbe meglio tornare a rivolgersi a un bravo artigiano per poter recuperare la funzionalità di un oggetto, a cui magari siamo anche affezionati, anziché buttarlo via per correre al più vicino centro commerciale (luogo, questo, peraltro tristissimo di alienazione in tutti i sensi: di chi vende, di chi compra, di chi decide incomprensibilmente di ‘farcisi una passeggiata’), a farci vendere da un qualche operatore anonimo un nuovo oggetto il più possibile equivalente al nostro vecchio – ma a noi assolutamente estraneo, muto – il quale acquisto dovrà dimostrarci di essere all'altezza, e molto probabilmente fallirà !
E anche nella migliore delle ipotesi, cioè se l'oggetto in questione risulti poi di nostro gradimento, proviamo a pensare qual è stato il costo della nostra decisione – abitudinaria, quasi compulsiva – in termini di risorse immateriali non più riproducibili e di materialissimi rifiuti sempre meno smaltibili.
Cambiamo stile.
Riparatori di tutto il mondo, unitevi !
E comunque io preferirei – forse in questo sì figlia, benché in minoranza, della mia generazione mentre la precedente e la successiva temo non la vedano così affatto – preferirei comprare, per dire, un frigorifero magari meno ‘cool’ ma realizzato in qualche modo ‘dalla collettività per la collettività’ secondo le regole dell'utile generale, dei diritti dei lavoratori e della tutela ambientale; o almeno, voglio avere anche questa opzione tra le mie possibilità di cittadina/consumatrice.
Invece, ora come ora, sono del tutto costretta a comprarne uno molto o abbastanza cool – o anche per nulla, ma nondimeno – realizzato da un privato per un privato secondo le sole regole dell'utile privato (che dell'ambiente e dei lavoratori se ne frega).
Se questa è libertà…
P.S.:
Ho scritto questo pezzetto intorno a gennaio (2012), quando l'idea della riconversione ci era appena nata.
Sei mesi dopo Repubblica esce con l'articolo seguente:
<<Di fronte alla crisi, l'Italia corre ai ripari. Rammenda, rattoppa, riusa, crea gruppi di incontro. Segue un'idea nata ad Amsterdam e ormai diffusa in tutta Europa. Il recupero di ciò che si ritiene erroneamente inutile farebbe risparmiare agli italiani 11 miliardi all'anno, più della spending review. Ripartire da ciò che è stato rifiutato per fare economia?
Si riusa tutto, sempre di più. Se libri, mobili e vestiti sono i settori merceologici tradizionali per il riuso, quella degli elettromestici è certamente una new entry. Non si ripara solo per necessità, anche per scelta. Soprattutto all'estero. I "café reparation", nati ad Amsterdam e diffusi in molti paesi d'Europa sono punti di incontro dove ci si scambia informazioni sulla riparazione e dove ci si aiuta, gratuitamente, a rimettere in pista gli oggetti fino a ieri considerati inservibili. "È la dimostrazione che la cultura del riuso si va diffondendo. In altre forme capita anche da noi", spiega Guido Viale, autore del libro "La civiltà del riuso" (Laterza). Viale snocciola l'elenco dei mercatini, dei luoghi di scambio e baratto diffusi in Italia: "Fino a qualche tempo fa erano luoghi nei quali si creava una singolare commistione sociale tra il popolo snob degli amanti del vintage e gli immigrati stranieri in cerca di risparmio". Ora la crisi e una diversa coscienza ecologica spingono un po' tutti a frequentare gli spazi del riciclo. Ma solo in alcune città (a Torino con la cooperativa "Il triciclo", a Modena con il centro raccolta "Tric & Trac") vicino alle isole ecologiche comunali sorgono spazi dedicati al riuso. Il sistema funziona se nel centro modenese un terzo di ciò che entra come rifiuto viene riacquistato come oggetto funzionante. "Purtroppo - osserva Viale - fino a quando una legge non obbligherà le amministrazioni a creare spazi simili in tutte le città, questi esempi rimarranno casi isolati".
L'unica esperienza difficile da imporre per legge è quella del cuore, del sentimento. La palma dell'originalità va così a Maddalena Vantaggi, creatrice, insieme a due colleghe dell'università di Venezia, del progetto "Rifiuti con affetto": "Ci sono cose che dispiace buttare via", ha detto Vantaggi ai ricercatori del ministero dell'ambiente che hanno realizzato il "Rapporto sul riutilizzo 2011". Perché gettare nell'immondizia ciò che non ci serve più ma è stato per lungo tempo parte della nostra quotidianità: "Abbiamo creato un cassonetto-vetrina - racconta Vantaggi - in modo che chiunque possa aprire e prendere un oggetto o lasciarne a sua volta uno. Finora l'esperimento ha funzionato". In tempi di crisi, non si getta certo alle ortiche un sentimento.>>
All'ultima riunione di un bel collettivo romano di cui facciamo parte, Paolo e io, abbiamo proposto un'iniziativa mensile da settembre prossimo alla primavera 2013: RiparImparA - educazione, scambio e gioco, ogni ultimo venerdì del mese, nelle piazza della Roma che cambia.
Senza leggere l'articolo, prima, né il libro - giuro!
Be', ora stiamo a vedere che succede.
Il collettivo sta qui http://www.dazero.org
Valentina
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qua e là sullo SCHERMO...
Adriano Olivetti
http://www.youtube.com/watch?v=gIE95NtP7_U
Al Gore
http://www.youtube.com/watch?v=ogwQiDLHyKI
Gino Strada
http://www.youtube.com/watch?v=9DDOVQfngxg
Vandana Shiva
http://www.youtube.com/watch?v=M2u8FwZukSQ
Diego Fusaro
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=-CHlnidzQOg
Walter Siti
http://www.youtube.com/watch?v=Erlsw0m55Y8
Serge Latouche
http://www.youtube.com/watch?v=0UGV1b3H9h4
Luigi Ciotti
http://www.youtube.com/watch?v=-DECw8MRgTM
Ascanio Celestini
http://www.youtube.com/watch?v=B0j3v6kOP4g
Erri De Luca
http://www.youtube.com/watch?v=1y-BC1uJxUc
un RACCONTO
Il giusto - 29 ottobre 2011
I demografi dicono che uno dei bambini che verranno al mondo lunedì 31 ottobre 2011, su un punto qualsiasi del pianeta, sarà quello che porterà il numero degli esseri umani “presenti nello stesso momento sulla Terra” alla soglia ragguardevole di 7.000.000.000 – sette miliardi.
Quel bambino – da qui in poi ragiono io – ha una possibilità su mille di nascere nel giusto incrocio spaziotemporale che gli permetterà di vivere da garantito, da privilegiato, addirittura da “decisore di destini” oltre il suo proprio.
Infatti si calcolano oggi tra i 5 e i 10 milioni, gli umani di cui si possa dire che “qualunque cosa accada” attraverseranno l’esistenza autodeterminandosi davvero, e avvalendosi di risorse (patrimoniali e non, e ovviamente anche umane) tali da conseguire e mantenere un alto livello di vita – dove “alto” sta per oggettivamente alto (benché ognuno possa poi preferire per sé uno stile esistenziale differente, decoroso, frugale o perfino bizzarramente disagiato). Ripeto: qualunque cosa accada loro intorno – all’economia, all’ambiente, alla civiltà stessa.
Anzi: poiché il tasso attuale di natalità nell’enclave dei garantiti è sicuramente molto inferiore a quello medio del resto dell’Umanità – diciamo di un fattore 1 a 10, ora come ora –, quel bambino “numero sette miliardi” non ha che una possibilità su diecimila di pescare il biglietto vincente alla lotteria della vita. Nei rimanenti 9.999 casi egli (o ella) nascerà “dalla parte esposta della recinzione”.
E’ “sempre” stato così – nel senso della sperequazione, intendo, non strettamente delle sue quantità.
Anche tralasciando le fasi realmente scimmiesche o protoumane della nostra avventura comune, diciamo quindi “solo” da 40.000 anni a questa parte – dal grande balzo in avanti dell’homo sapiens moderno che proprio allora cominciava a lasciar traccia della propria autoriflessione (graffiti rupestri, modellini manufatti, semplici monili) –, alcuni uomini per nascita avvantaggiati quanto a forza o intelligenza o coraggio o ferocia, hanno potuto favorevolmente gareggiare nella lotta contro le ristrettezze naturali e contro gli altri uomini, loro competitori, vincendo le prime (ove possibile) e soggiogando i secondi.
Così cominciò.
E i “figli” di quel vantaggio lo consolidarono, perpetuando il dominio sui “figli” del primo svantaggio: generazione dopo generazione, scettro dopo bastone, ordine dopo tortura, palazzo dopo villaggio, dollaro dopo sesterzio, atomica dopo ariete, satellite dopo araldo, limousine dopo carrozza, bilancio dopo editto, vertice dopo codice – un secolo dopo l’altro, che noi contiamo oggi in millenni.
Così si è istituzionalizzato.
A un certo punto però quella capacità di pensiero autoriflessivo astratto – e strategico addirittura – che l’uomo ormai padroneggiava, e grazie alla cui asimmetrica distribuzione (o anche grazie ad essa) si dava il fatto che certi uomini (pochi) vivessero mentre certi altri (moltissimi) sopravvivevano a stento, ebbene da quella capacità scaturì un pensiero nuovo: il senso morale. Ecco: come una “sovrabbondanza” di natura – come se chi ha le gambe per camminare e ha sempre e soltanto fatto quello, si ritrovasse un giorno i muscoli tanto forti da poter correre. E anzi – da non voler più fare altro che correre, e non poter più camminare.
Lato positivo: il senso morale aggiunge, in chi lo possiede, un vero e proprio senso – oltre alla vista e agli altri classici, e oltre all’intelligenza in tutte le sue declinazioni. Consente cioè una lettura della realtà, un’interpretazione di sé e dei propri simili e quindi l’elaborazione del da farsi ora e dopo, più sottili e più ampie insieme – con grande beneficio (teorico) del uomo morale tra i suoi prossimi.
Lato negativo: poiché tale sovrabbondanza non si è registrata in tutti gli esseri umani in egual misura – e in verità gli uomini morali sono sempre stati, e tuttora è così, una minoranza sul totale (così come i grandi corridori sono una minoranza di tutti i camminanti) –, è ovvio che i modelli dell’umana convivenza siano stati creati e resi stabili piuttosto da e per chi non aveva questo senso in più. E non è facile affatto correre, per quanto bene, in un angusto labirinto – dal che si deduce che il beneficio teorico dell’uomo morale si ribalta spessissimo in una concreta iattura.
Torno al tema. La rivoluzione della moralità ha fatto sì che quella che era la norma consolidata – lo sfruttamento di pochi ai danni delle moltitudini, originato da meriti soggettivi nella notte dei tempi ma poi “blindatosi” in privilegio di successione o cooptazione puro e semplice – gridasse come un’empietà alle orecchie degli esseri umani dotati di quel pensiero nuovo, e un po’ scandaloso. “Questo non è giusto”, si sentì pronunciare da qualcuno – ed era la prima volta nella storia del pianeta.
Non è giusta la schiavitù, non è giusta la miseria, non è giusta la predazione, non è giusta la minaccia, non è giusta l’insicurezza, non è giusta l’ignoranza, non è giusto l’isolamento, non è giusta la manipolazione, non è giusta la violenza, non è giusta la paura.
(Potete continuare da voi: di qualunque sostantivo lamentiate l’ingiustizia, siate certi che qualcun altro l’ha fatto già.)
Diciamo, infatti, che sono circa 5.000 anni che il senso morale punta l’indice contro il modo in cui l’uomo si fa largo nella vita a scapito – se occorre, e nei grandi numeri sembra occorra sempre – del proprio simile. O meglio: sono 5.000 anni che l’essere umano ha preso a scrivere la propria esistenza, nel mentre che la percorre – e allora forse è perciò che sul “prima” noi oggi non sappiamo dire di più in merito. Ma non importa.
Importa – questo sì – che l’azione di denuncia si limitò per tutta la prima metà della sua durata, calcolata ad oggi (ovvero fino a 2.500 anni fa, circa), a una sorta di “doppia mossa” simbolica: maledizione/consolazione – la prima contro gli sfruttatori ovviamente, la seconda a conforto degli sfruttati, annunciando entrambe ma rinviandone gli effetti a un’imperscrutabile esistenza dopo la morte.
L’idea – per quanto assurda – ha avuto una diffusione eccezionale, e ha davvero dato forma di sé all’intera fisionomia dell’Umanità nello spazio e nel tempo. Forse perché fu fatta strumentalmente propria anche dai detentori del dominio, dai garantiti, purtroppo – i quali la distorsero, e tuttora è così, con estrema abilità fino a farne un’ulteriore arma di pressione (o di distrazione) giusto nei confronti di quelle moltitudini soggette in sdegno del cui triste destino i grandi uomini morali avevano concepito l’idea/denuncia medesima.
Ma duemilacinquecento anni fa, più o meno, il senso morale affianca alla prima “tattica” (quella religiosa, per capirci, che non si esaurisce – infatti sarà incarnata da altri fondatori di culti dopo di allora, dai redattori del Nuovo Testamento a Maometto ai Riformati ai sincretisti d’ogni genere) – affianca, dicevo, una tattica diversa: il “questo non è giusto” non rimanda più solo a una soddisfazione completa nell’aldilà, ma tenta anche una “riduzione del danno” nell’aldiquà.
Nascono la teoria e la pratica della democrazia e del diritto.
Vale a dire: almeno un certo numero di umani, con determinate caratteristiche (maschi, liberi, possidenti, alfabetizzati – il dettaglio dipende da e varia con l’epoca e la latitudine), benché non appartenenti alla casta dei veri dominatori, tuttavia sono sottratti per legge al puro arbitrio di quelli – sono in qualche misura tutelati e possono concorrere almeno parzialmente alla determinazione della propria esistenza, e di quella della propria famiglia, attività, proprietà e patria. Per legge – con norme scritte, meditate anche grazie all'apporto della filosofia migliore, fatte conoscere o date per note al popolo, le quali delimitano il potere di chi per natura o divina grazia esercitava sul popolo un comando prima assoluto.
Fu un passo falso, un “autogol” dei garantiti ? Fu “una scalata al cielo” da parte degli altri ? Fu un colpo di genio inesorabile degli uomini morali ?
Io credo – e sono in ottima compagnia – che sia stata una “necessità del sistema”: ai detentori del potere sarebbe costato di più – in termini economici, ma anche in senso lato – mantenere lo stato di cose dell’era pre-democratica, sempre che sussistessero le condizioni oggettive per la nuova “sperimentazione”. Più conservare, gli costava, che non “trattare” un nuovo equilibrio tra diritti e privilegi.
Termini economici. Questo ci porta alle battute centrali del mio ragionamento. E ci fa fare un altro bel passo avanti sulla scala dei tempi: arriviamo a duecento anni fa.
In effetti, tra il 500 a.C. di Atene e dintorni e il primo terzo dell’Ottocento tra Francia, Inghilterra e Germania, succede poco – dal punto di vista di questo raccontino. Duemilatrecento anni di cammino della “creatura”, la democrazia per legge – cammino per nulla lineare, ma anzi oggetto di aspre contese e di arresti e depressioni, e al prezzo di tanto sangue. Fatti e atti da riempire biblioteche babeliche, dai Gracchi a Roma alla Magna Charta ai trattati sulla tolleranza e sull’eguaglianza alla Presa della Bastiglia.
Dico “succede poco”, allora, soltanto a significare che per tutto questo tragitto il senso morale continua a rispondere alla denuncia “ciò non è giusto” sempre nello stesso modo, sostanzialmente: cercando di ridurre il danno dei sottomessi, ampliando man mano il raggio della condivisione decisionale alla loro portata, senza però esaminare la natura – e le sorti possibili – del rapporto stesso di sottomissione. Senza osare contendere il potere al Potere in sé.
Il quale Potere, nel frattempo – con la sua “solita” quota di un solo umano su migliaia che potesse sentirsene artefice e protetto insieme –, riusciva a “sopportare” la trattativa (circoscritta a certi ambiti e in determinate zone) grazie alla progressiva estensione delle proprie capacità di produzione e riproduzione, sia mediante un enorme progresso tecnologico e organizzativo, sia con l’occupazione – né simbolica né pacifica – di regioni sempre più vaste del pianeta, abitanti compresi, fino a “prenderselo” tutto.
Però, dicevo, ai primi dell’Ottocento la scandalosa moralità scocca la sua terza freccia: dopo la maledizione/consolazione che le religioni delegano all’ultraterreno, dopo la mediazione normativa che le democrazie impongono ai Potenti della Terra – e affianco a entrambe, che continuano la propria traiettoria – ecco che gli uomini morali cominciano a pensare che l’ingiustizia potrà essere sanata solo attaccando l’esistenza stessa della casta dei garantiti.
Fu niente di meno che mettere in discussione, per la prima volta in senso concreto (ossia progettuale, non “letterario”), il dato originario della divisione dell’Umanità tra i pochissimi che si perpetuano in una condizione di benessere e di libertà reale e le masse sterminate di sopravviventi.
Il socialismo e l’anarchismo nascono qui – è chiaro.
E finché essi restano nelle stanze fumose degli analisti della società, o perfino degli alfieri della rivoluzione – ma senza seguito di popolo –, questa terza freccia (sebbene diretta al cuore del problema) non impensierisce davvero il Potere: è lenta, come un cerino che passa da una mano all’altra, che si spegne spesso e quindi occorre accederne uno nuovo, ricominciare.
Ma sul finire del secolo XIX le cose cambiano, e l’idea rivoluzionaria si diffonde come la fiamma sulla paglia.
Per disattenzione di autotutela del Potere ? Per “epidemia di coraggio” nelle masse ? Perché la moralità aveva finalmente trovato il suo cavallo di Troia ?
Di nuovo – io viceversa credo (e ancora: prima e meglio di me l’hanno detto in tanti) che il contagio e il radicamento della coscienza di classe siano stati effetto “naturale” di uno stato di cose accertabili: dalla prossimità imposta dal lavoro in fabbrica al vortice di idee nuove nelle grandi città e nei nuclei industriali, dall’inurbamento delle masse contadine alle prime iniziative serie contro l’analfabetismo, dal dialogo fattivo (grazie alla stampa "schierata") tra gruppi di lavoratori anche distanti al diffondersi della figura dell'intellettuale organico – tutti “ingredienti”, questo è notevole, che erano funzionali agli interessi stessi del Potere (o capitale, se preferite) ma che si sono fusi in una ricetta ad esso capitale assai indigesta.
(E comunque, che all’alba del materialismo storico e poi nella costruzione delle organizzazioni politiche e dei movimenti di liberazione, si ritrovino alcune delle migliori teste della modernità – da Blanqui a Marx a Gramsci a Guevara – è fuor di dubbio.)
Come che sia, la paglia s’incendia. Il privilegio teme davvero, per la prima volta.
In Occidente, milioni di lavoratori e di cittadini si auto-organizzano nei sindacati e nei partiti socialisti. A migliaia aderiscono ai movimenti anarchici o comunque anticapitalisti. L’impero russo diventa il primo esperimento (dopo il lampo della Comune di Parigi) di autogestione dello Stato da parte del proletariato. Nascono ovunque i partiti comunisti. Le grandi nazioni europee sentono il fuoco della rivoluzione a un passo dai confini e perfino sotto i piedi, con le occupazioni di fabbriche e terre e con la rivolta sociale che sembra poter riuscire. Il capitalismo, che si è già disteso su tutto il pianeta e non può difendersi attaccando la Luna, vive realmente un’ora buia come mai prima: la massa indistinta, la cui soggezione millenaria ha costituito lo scavo di fondamenta per l’edificazione del palazzo sui cui terrazzi una minoranza vive da allora nel sole (e ivi lavora e produce, e crea conoscenza e bellezza – non lo nego), dice adesso “questo non è giusto, e questo non sarà più”.
Il Novecento, dalla Grande Guerra in poi, non è che la reazione a tutto ciò.
Dal fascismo al nazismo, dallo stalinismo alla Seconda Guerra Mondiale, dalle Avanguardie ai conformismi, dal New Deal al riformismo, dall’anticolonialismo alla Guerra Fredda, dai colpi di Stato al Sessantotto, dal welfare alla società dei consumi, dall'emancipazione femminile all'ambientalismo, dalla strategia della tensione a quella "della televisione", dal neoliberismo alla globalizzazione – il Ventesimo Secolo è, detto in estrema sintesi (forse violenta, me ne scuso), la complessa dinamica di risposta del sistema alla sollecitazione inaudita della scalata al cielo, questa sì, da parte della porzione più consapevole del 99.9% di specie umana da sempre fuori quadro.
E ha funzionato (in una direzione o nell'altra) ?
Replicherà a ciò lo studioso del futuro, poiché è possibile che la dialettica di azioni e reazioni sia ancora lontana dalla conclusione – e forse nemmeno a metà della “musica”.
(Tra l’altro, a voler essere un filino meno schematici – e per restare ai Paesi a maggioranza cristiana, che conosco meglio – c’è da considerare, dalla metà del secolo XX in avanti, anche la commistione tra le tre classiche risposte morali al problema dell’ingiustizia: l’opzione confessionale e quella giuridica fondano la Dottrina sociale della Chiesa, dalla confessionale e la radicale insieme sorge la Teologia della Liberazione, radicale e giuridica “a braccetto” non sono altro che la socialdemocrazia: speranza mia personale, per quel che conta. Staremo a vedere.)
Quel che si può dire oggi è che siamo a un passaggio per nulla “automatico”, di quelli ad esito scontato: tutt’altro – almeno, agli occhi di chi lo vive (poi magari si potrà intenderlo facilmente come un’altra conseguenza inevitabile delle condizioni date).
Ora c’è una geopolitica neanche più unipolare, come invece aveva provato a imporre la Casa Bianca di Bush padre, di Clinton – in parte – e soprattutto di Bush figlio (con la rendita diabolica dell’emozione mondiale per l’11 settembre). C’è l’entrata in scena, deflagrante, dei nuovi primi attori globali – quali India, Russia, Brasile e, più grande di tutti, la Cina (che peraltro, in tutta la sua storia millenaria, ha vissuto solo marginalmente sia la risposta morale all'ingiustizia come ipotesi religiosa sia come pratica democratica, declinando poi a modo suo l’opzione socialista – e dunque è una bella incognita). C’è la crisi virulenta degli stessi "mostri" economico-finanziari che negli ultimi 35 anni – dalla prima crisi energetica e conseguente ascesa delle potenze arabe – hanno nutrito il mondo euro-atlantico, e satelliti vari, ma di cui ora scopriamo l’intrinseca contraddizione: più che farlo prosperare (nelle infami disparità socioeconomiche al suo interno), forse al sistema hanno scavato la fossa. C’è da tener conto sempre di più di un’opinione pubblica di massa che attinge a informazioni e scambia comunicazioni senza servirsi dei canali controllabili dalle classi dirigenti, e che con criteri di azione/emulazione ha già messo in difficoltà parecchi governi e regimi un po’ dappertutto.
Siamo a questo tornante.
E io non so come se ne esca, da quale parte. Se se ne esce.
Però volevo fare un po’ il punto. Ne avevo bisogno. E ho trovato l’occasione per farlo.
Lunedì 31 ottobre 2011, dopodomani, nasce il bambino numero settemiliardi.
Gli auguro di pescare il biglietto fortunato. Perché non c’è nessun romanticismo visionario che potrà convincermi che a un essere umano al suo primo vagito sia meglio prospettare la mera sopravvivenza sulla faccia della Terra, e non invece un'esistenza con ogni possibilità di realizzazione piena.
Ma se non fosse tanto baciato dalla sorte – il che è più probabile quanto 10.000 sta a 1 – allora gli auguro di avere quel senso in più: il senso morale. Che gli fa dire “non è giusto”, che lo fa correre mentre gli altri camminano soltanto, che gli fa capire meglio e prima ciò che va capito, che gli toglierà la pace e il sonno – in qualche misura – ma gli darà forse il modo di trovare le risposte giuste alle domande di tutti gli uomini morali.
Cercali, i tuoi veri simili: non sono pochi.
Riconoscetevi, comprendetevi, agite.
Buona vita, cucciolo d’uomo.
Paolo
materiali _ 10
da 'FINCHE' C'E' LOTTA C'E' SPERANZA'
- in MICROMEGA 1/12 -
Il male grida forte, ma la speranza in un mondo migliore grida più forte. Siamo di fronte a una caduta senza precedenti della democrazia e dell’etica pubblica. [...] Abbiamo tutti bisogno di incontrarci, di guardarci negli occhi: l’incontro deve essere il nostro punto di partenza.
[...]
Bisogna riflettere sulla Costituzione, e rispettarla nelle parti che finora hanno avuto applicazione insufficiente e distorta.
don Andrea GALLO
Non bisogna mai dimenticarsi che il primo capoverso della nostra Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Lavoro inteso come dignità di un sentirsi parte di una società che produce e si evolve. Far parte quindi di un progetto di arricchimento non solo materiale, bensì morale della gente.
Dario FO
L’opera di rimozione delle cause della crisi rende la crisi stessa un fenomeno straordinario ma naturale come uno tsunami, che arriva imprevedibile, devasta e lascia dietro di sé macerie, senza alcuna possibilità di intervenire per eliminare le cause che lo hanno scatenato. Forse l’unico sentimento che si riesce a provare per chi un lavoro lo perde o non riesce a trovarlo è un po’ di compassione, proprio come verso le persone che hanno subito una calamità.
Maurizio LANDINI
Oggi i banchieri stanno al governo, non c’è stato nessun cambiamento radicale. [...] Si chiede un sacrificio per far ripartire produzione e consumo, quando molti [...] vorrebbero consumare meno e produrre meglio.. Non c'è un politico che parli di decrescita, e tutti fanno a gara a dire la stessa cosa nel migliore dei modi: un cosa che una volta era di destra, ma che oggi pare si diventata l’unica. Il capitalismo ha provocato il disastro, ma contro questa disastrosa prospettiva ideologica nessuno si prende la responsabilità di dire qualcosa, pur sapendo che da noi sta producendo disoccupazione e incertezza mentre nei pesi davvero poveri produce guerre e schiavitù.
Ascanio CELESTINI
Non può esservi alcun tipo di speranza di rinascita civile se il benessere di una nazione è misurato da indicatori anacronistici e antisociali, anziché dalla qualità della vita reale dei cittadini, dalla solidità delle reti sociali, dalla sicurezza di un futuro dignitoso, dalle effettive opportunità di lavoro, di crescita, di emancipazione. Perché significa che non è più al centro degli interessi della politica la difesa della capacità progettuale dei cittadini, il loro diritto di costruirsi una vita serena e soddisfacente che sia la più vicina possibile alle aspettative e alle aspirazioni, anche al di là del lavoro. Non c’è “crescita”, se non hai al tuo fianco lavoratori orgogliosi di sé, pieni di dignità e di voglia di fare. Non certo mendicanti di un’occupazione o un sussidio, costretti all’umiliazione di una provvisorietà senza senso. Non certo sudditi di consumi drogati, indotti da vent’anni di insopportabile rimbambimento tele-commerciale.
Non può esservi alcun tipo di speranza di rinascita civile se diamo per scontato che vi sia un unico modello, necessario e ineluttabile, di sviluppo e di crescita.
Telmo PIEVANI
L’approdo a una concezione del lavoro che si fonda su diritti e non sull’arbitrio è costato secoli di lotta, e sofferenze a milioni e milioni di donne e uomini nel corso di [quei] secoli.
[Tutto passa per] l’idea di liberazione dell’essere umano schiavizzato: il riconoscimento della sua titolarità di diritti e di dignità proprio in qualità di prestatore d’opera. L’essere umano è dotato dalla nascita di dignità personale e sociale, sempre, quando lavora e quando riposa, quando vota e quando consuma, e nessuno può arrogarsi la facoltà di privarlo di tale titolarità – neppure invocando capziosamente lo ‘stato di necessità’.
Moni OVADIA
Ci avevano detto che il Mercato (con la maiuscola) aveva vinto la sua plurisecolare battaglia contro lo Stato. Che il denaro era ormai virtuale, e che l’economia era solo sequenze di numeri su un desktop. Ci avevano fatto credere, negli ultimi decenni, che di operai non ce ne fossero più. Che tutto stava diventando ceto medio. [...] E che, in definitiva, stavamo diventando, irresistibilmente, inevitabilmente, e addirittura facilmente, tutti più ricchi e dunque più felici, mettendo nel dimenticatoio la lotta di classe.
Poi il giocattolo [...] si è rotto.
Angelo D’ORSI
Se i padroni del vapore si rassegnassero a ridurre i loro profitti, il che vuol dire ridurre l’orario di lavoro e aumentare i posti di lavoro, il ‘problema-giovani’ sarebbe avviato a soluzione. Ma il dogma qual è ? Che il profitto non si tocca, è sacro.
Luciano CANFORA
Mi considero parte attiva di un fronte di lotta che, oltre a ciò che resta del movimento sindacale, comprende tutti i movimenti che in Africa, Asia, Europa e Americhe, si battono contro lo strozzinaggio dei signori della finanza che tentano di imporre un regime globale del debito. Un fronte di lotta che, voglio sperare e credere, non nasce dalla nostalgie per le defunte Costituzioni borghesi, ma esprime il ‘potere costituente’ dei popoli che vogliono costruire un mondo migliore.
Carlo FORMENTI
In una democrazia costituzionale [come la nostra] la legge fondamentale riconosce certo il diritto di proprietà, ma riconosce anche che essa non è un fatto esclusivamente privato, anarchico, anche perché nessuna proprietà esisterebbe senza il potere dello Stato.
Nadia URBINATI
PROMEMORIA
un 'GADGETTINO'
('SPIEGAZIONE':
Fate conto che al mondo si fronteggino alcune armate per il completo esercizio del potere sugli esseri umani, sulla natura vivente e sullo stesso pianeta.
E fate conto che questa guerra senza quartiere vada avanti già da un bel po',
almeno da quando le conquiste scientifiche, tecnologiche e organizzative
hanno reso tutta la terra un solo luogo, con un solo tempo valido ovunque.
E infine fate conto che ci siano, nel mezzo della guerra, prima milioni poi decine di milioni
poi centinaia di milioni poi alcuni miliardi di cittadini del mondo che non intendono prendervi parte,
e anzi supplicano perché finisca o imprecano contro i responsabili dello scempio insensato.
Bene. Le cose stanno esattamente così.
Gli eserciti schierati sono quelli transnazionali del profitto;
la guerra è quella che per qualche decennio si combatte nelle borse mondiali, e sulla pelle di tutti,
poi nei conflitti locali veri e propri, e infine esplode in un grande olocausto come le guerre mondiali;
e i cittadini del mondo che si sottraggono o si ribellano a tutto questo - be', siamo noi.
La natura umana probabilmente non muterà tanto da far sì che questa follia di egoismo
si estirpi alla radice e per sempre.
Ma qualcosa si può e deve fare comunque.
E il socialismo non è altro che questo, da sempre:
è il progetto per la costituzione di una forza globale di interposizione,
efficace nella misura in cui non si limita a pregare contro la guerra o a colpire qualche stato maggiore,
ma semplicemente disarma gli eserciti - togliendo almeno un po' di valore alla proprietà privata,
ciò per cui quelli si ammazzano tra loro e soprattutto ammazzano noi.
Valentina e Paolo)
il DECALOGO
Uno.
Il lavoro produce valore, e ricchezza; i prestiti producono debiti;
il prestito dei prestiti produce fallimento, e miseria.
Due.
Il consumo per il consumo (di merci) crea:
rifiuti non più smaltibili, diseguaglianze tra individui e tra popoli, insicurezza e alienazione;
la produzione per la produzione (di merci) crea:
esaurimento delle risorse naturali, divisione mondiale del lavoro e suo sfruttamento, compressione dei diritti dei lavoratori (o disoccupazione);
invece, la produzione per la necessità e il godimento (di servizi, di significati) non ha controindicazioni
né per l'individuo né per il lavoro né per i popoli né per la Terra.
Tre.
La proprietà privata dei mezzi di produzione e distribuzione delle merci,
tenetevela (con le vostre sole forze di privati, finché ci riuscite);
comuni diventino, per scelta politica - ossia della maggioranza dei cittadini - e progressivamente,
la proprietà e la gestione dei mezzi di produzione e distribuzione di servizi e significati
(cioè, del valore e dei beni di diritto).
Quattro.
Comune e proprietà privata concorrano liberamente sul mercato;
i cittadini determineranno la diffusione dell'uno e la contrazione dell'altra, o viceversa, e in quale misura reciproca.
Cinque.
Beni di diritto (cioè servizi e significati, cioè valore, cioè fonte e frutto del lavoro comune) s'intendono,
senza alcun ordine gerarchico:
l'acqua e il cibo;
gli indumenti;
la dimora;
la salute del corpo e della psiche;
l'esercizio della libertà fisica;
la protezione da parte della giustizia applicata;
l'istruzione;
la cultura;
l'informazione;
i mezzi di comunicazione;
l'espressione delle opinioni individuali e di gruppo;
la fruizione dell'arte e dello spettacolo;
la ricerca scientifica e intellettuale;
il godimento dell'ambiente naturale e dell'ambiente antropico, della loro bellezza e funzionalità;
la mobilità a corto e a lungo raggio;
l'accoglienza e la solidarietà;
l'assistenza agli anziani, ai diversamente abili, a chi ha bisogno;
i servizi ai lavoratori, alla donna, all'infanzia;
il riposo e lo svago;
e quanto venga così rubricato dai cittadini, nei modi e nelle forme di legge.
Sei.
Poteri della collettività in senso stretto - non proprietà private, né beni comuni - sono:
la legiferazione,
la forza armata,
le relazioni internazionali e intercontinentali,
la riscossione dei tributi,
il bilancio e la gestione di ciò che è comune;
i cittadini esercitano tali poteri tramite la legge e le forme della rappresentanza da essa previste.
Sette.
Si cominci da un'amministrazione locale a sperimentare quanto sopra,
nei campi e nella misura in cui ciò è consentito dalla potestà di autogoverno di quell'amministrazione;
poi lo si emuli in altre amministrazioni locali e regionali, quindi a livello nazionale
e auspicabilmente a quello europeo.
Otto.
L'Europa e l'Occidente hanno propriamente questo da offrire all'Umanità:
un simile presidio di equilibrio e passo di civiltà;
altrimenti la loro intera storia non è che razzia e bottino di guerra,
e il loro prevedibile futuro (prossimo) è caos e miseria.
Nove.
Tutto questo è, in qualche modo, decrescita;
ma soprattutto è: senso della misura, questione morale, intelligenza, lungimiranza, generosità,
efficacia, immaginazione, perseguimento della felicità, umanità.
Dieci.
Tutto questo è: la Riconversione.
Paolo Andreozzi e Valentina Manusia
con il MOVIMENTO per la RICONVERSIONE